Sono uno dei primi firmatari del disegno di legge sulle unioni civili, cosiddetto Cirinnà, all’esame del Senato. Desidero però precisare di averlo sottoscritto a fatica, perché costituisce un compromesso, il terzo o forse addirittura il quarto compromesso al ribasso rispetto alla proposta normativa originaria. Meno di così, francamente, non mi parrebbe proprio possibile discutere di unioni civili o di convivenze di fatto e tanto meno votarle. Nel tentativo di venire incontro alle necessità sociali e istituzionali di persone ancora oggi discriminate per ragioni sessuali e di bambini cui vengono ancora oggi negati diritti fondamentali, abbiamo accettato di riscrivere il testo del disegno di legge, smorzandone alcuni toni, pur ribadendone i capisaldi imprescindibili. Motivi per cui voterò questo testo, ma pure tutti gli emendamenti estensivi a favore del pieno riconoscimento delle unioni omosessuali.

Si continua a parlare di presunta incostituzionalità del disegno di legge, ma incostituzionale è semmai l’assenza di alcuna tutela nei confronti delle coppie dello stesso sesso e dei loro bambini. Lo ha chiarito la Consulta che, con la sentenza-monito n. 138 del 2010 e con la n. 170 del 2014 sul cosiddetto “divorzio imposto”, rilevando appunto un vuoto normativo in materia, ha imposto al legislatore di intervenire con la «massima sollecitudine» per introdurre una disciplina che tuteli queste formazioni sociali in cui, secondo l’articolo 2 della Costituzione, si sviluppa la personalità umana. E la Corte europea dei diritti dell’uomo a luglio scorso ha condannato l’Italia proprio per l’assenza di una disciplina che garantisca adeguata tutela per le unioni non matrimoniali. Dunque il ddl Cirinnà, lungi dall’essere incostituzionale, dà invece attuazione, seppur tardiva, all’articolo 2 e pone semmai fine alla violazione del principio di non discriminazione sancito dall’articolo 3 (così come si dovrebbe fare per quelle formazioni sociali quali, in primo luogo, partiti e sindacati, le cui garanzie costituzionali non hanno ancora trovato compiuta attuazione). Il limbo giuridico che caratterizza oggi le unioni omosessuali è, peraltro, incompatibile anche con l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che garantisce a chiunque il diritto di sposarsi e costituire una famiglia a prescindere dall’orientamento sessuale. Ed è proprio questa situazione (incostituzionale) di vuoto normativo, di indifferenza giuridica (persino per le convivenze di fatto), che vogliono mantenere coloro che si oppongono a questo disegno di legge, utilizzando motivazioni del tutto strumentali.

Come quella secondo cui l’adozione coparentale legittimerebbe la surrogazione di maternità. Non c’è in alcuna parte del disegno di legge qualcosa che minimamente consenta una tale lettura o interpretazione: il cosiddetto “utero in affitto” resta un reato e chi propone di inasprirne le pene, estendendole anche a chi ricorra alla gestazione per altri, non fa che negare il carattere laico che fonda la nostra democrazia. Qui si tratta invece, molto semplicemente, di prendere atto di tante situazioni di fatto di coppie che si amano; e di tanti bimbi e bimbe che già esistono e che hanno diritto a veder riconosciuto giuridicamente un rapporto essenziale per la loro crescita in condizioni serene. Sono queste le situazioni che il legislatore ha il dovere, sociale etico e giuridico, di regolamentare, tenendo ben presente il faro della uguaglianza, della dignità e della solidarietà.

Considerazioni analoghe andrebbero svolte per i milioni di persone che hanno deciso per una convivenza di fatto, che qualcuno, obnubilato, ha persino proposto di stralciare.
Non resta dunque che rivolgersi al Presidente della Repubblica per chiedere conferma di una attenzione speciale verso il rispetto della nostra Costituzione, violata non certo da questa legge ma dall’attuale condizione di vuoto normativo che circonda queste realtà, umane e sociali. Tale illegalità, sostanziale e giuridica, deve essere assolutamente sanata, venendo incontro alle esigenze e ai diritti di tutti, anche delle minoranze, dei più deboli e dei meno tutelati, senza far loro pagare responsabilità che di certo non hanno, nell’alveo dei princìpi di uguaglianza e solidarietà sanciti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione.