Centocinque euro di aumento in una fase storica di inflazione quasi a zero, spalmati su quattro anni. Un fondo di sostegno per chi perde il posto a due anni dalla pensione, e per chi deve convertire il suo lavoro da full a part time. Un delegato che vigila sulla sicurezza per l’intero sito di produzione. Dopo una trattativa sofferta e che sembrava chiudersi in salita, alla fine i 400 mila dipendenti delle industrie alimentari un contratto ce l’hanno: Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil lo hanno firmato venerdì sera con Federalimentare. L’aspetto che colpisce più di tutti è il rafforzamento delle tutele per le donne vittime di violenza. Ne abbiamo parlato con Stefania Crogi, segretaria generale della Flai Cgil.

 

© Marco Merlini / Cgil Roma 3 marzo 2015 Centro Congressi Frentani, Auditorium, via dei Frentani Seminario Filctem Cgil sulla contrattazione Nella foto Stefania Crogi, segretaria generale Flai-Cgil
Stefania Crogi, segretaria generale Flai-Cgil @Marco Merlini, Cgil

Il congedo retribuito di tre mesi per le donne vittime di violenza, già previsto per legge, nel vostro contratto raddoppia fino a sei. Un tema attuale, visto il numero crescente di femminicidi e crimini contro le donne.
È un modo per mandare un messaggio al Paese con lo strumento che abbiamo, quello del contratto, in un momento in cui la violenza di genere è in crescita. Sei mesi sono comunque pochi per riprendersi completamente dopo un trauma, ma è comunque un periodo maggiore dei 3 mesi previsti per legge, in cui la donna vittima di violenza può dedicarsi a sé stessa.

Qualche settimana fa la trattativa si era arenata sul ruolo del contratto nazionale: le imprese volevano erogare aumenti, ma solo fuori dai minimi, così da avere un costo generale minore. Come avete fatto a superare l’impasse?
E’ stato lo sciopero dei lavoratori a spazzare via dal tavolo tutte le condizioni che ritenevamo inaccettabili: l’aumento non sui minimi tabellari, il completo stravolgimento dell’orario di lavoro che le imprese puntavano a calcolare su base annua, l’eliminazione degli scatti di anzianità, la contrattazione di secondo livello a costi invariati. La lotta paga.

Siete riusciti a far applicare, in tutto o almeno in parte, il nuovo modello contrattuale elaborato da Cgil, Cisl e Uil?
Avevamo l’opportunità di essere il primo contratto arrivato alla firma dopo la presentazione di quel modello, e abbiamo fatto il massimo per sostenerlo. Nei contenuti c’è tanta inclusività: ad esempio nell’aver istituito il rappresentante della sicurezza di sito, che vale cioè non solo per gli operai in produzione, ma anche per altre figure come i pulitori, gli addetti al facchinaggio, gli appalti e le cooperative. C’è l’elemento della quadriennalità, e in più siamo riusciti a ottenere due tranche di aumento già nel 2016, obiettivo che sembrava finora impossibile da realizzare. E poi, come già detto, gli aumenti vengono erogati esclusivamente sui minimi contrattuali, così da garantire la centralità del contratto nazionale e la piena incidenza di tutti gli istituti. Non mi pare poco, l’aver ottenuto più diritti e un reale incremento della retribuzione, visto che dall’altro lato abbiamo un governo che liberalizza i licenziamenti e fa pagare il costo della crisi ai lavoratori.

Ecco, infatti, sul fronte Jobs Act e licenziamenti siete riusciti a ottenere qualcosa?
No, ci abbiamo provato fino in fondo, ma a parte una piccola manutenzione sul demansionamento, sui licenziamenti sia individuali che collettivi ci siamo trovati di fronte a un muro. Ma come Cgil non ci arrendiamo, e rilanciamo con la Carta dei diritti universali del lavoro, che proprio in queste settimane è sottoposta alla consultazione dei lavoratori ed è già elemento di dibattito nel Paese. Noi speriamo sempre di più.

Tra le nuove acquisizioni ce n’è anche una che mi sembra toccare un altro nodo molto dibattuto, quello della legge Fornero: tanti perdono il lavoro quando la pensione è ancora un miraggio lontano.
Su questo punto abbiamo ottenuto la formazione di un fondo che interverrà per sostenere i lavoratori che perdono il posto a due anni dalla pensione. Un altro intervento è previsto per chi dovrà, per motivi di riorganizzazione aziendale, passare da full a part time. Con un doppio obiettivo: prima di tutto si tutela chi ha dei problemi, ma dall’altro lato si crea una sorta di «fondo generazionale» che può essere utile per assumere giovani lavoratori.

Insomma, per riprendere il commento di Susanna Camusso, «se si vuole, il contratto si può firmare».
Sì, lo abbiamo dimostrato in una fase molto difficile, ed è una risposta forte a chi vorrebbe destrutturare il contratto nazionale. Ma sono stati fondamentali i lavoratori: quando qualche giorno fa sembrava che la trattativa si reinsabbiasse, in cinque minuti hanno inondato Federalimentare di mail, ordini del giorno, comunicati, facendo sapere che questo sabato (ieri per chi legge, ndr) erano pronti a bloccare di nuovo tutto, come era stato con lo sciopero del 22 gennaio.