Tra il 27 maggio e il 3 luglio il Centre Pompidou, in collaborazione con la Cinèmatheque Francais, ha presentato una retrospettiva «integrale» dei film di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. La stessa raccolta è stata proiettata al MoMA di New York tra aprile e giugno di quest’anno, ha iniziato un itinerario che toccherà diverse città negli Usa e sarà replicata a Madrid, Museo Reina Sofia, dal 7 ottobre al 25 novembre. Che alcune tra le maggiori istituzioni culturali si aprano ai lavori di Huillet- Straub è sicuramente motivo di gioia per tutti coloro che amano e sostengono un cinema che è una delle opere maggiori, non solo a livello cinematografico, dell’era postatomica.

All’inaugurazione la sala del Beaubourg che ha accolto Jean-Marie Straub era stracolma, sono stati presentati due cortometraggi inediti, Pour Renato (2015) e Où en êtes-vous, Jean-Marie Straub?, e in occasione dell’omaggio è stato prodotto un libro, L’Internationale Straubienne, che raccoglie interventi di amici, studiosi, collaboratori e sostenitori dei due cineasti. Difficile immaginare nella Parigi dello stato d’emergenza (ma lo stesso vale per New York, Roma, Tokyo o Londra) un rifugio più salutare di una sala che proietta film degli Straub o pensare di poter gettare luce migliore di Operai, contadini o Troppo presto, troppo tardi per dare forza alla Parigi che non solo rimane in piedi ma si muove contro le ricette del capitalismo europeo. Questo omaggio arriva sicuramente troppo tardi per Jean-Marie e Daniéle, ribadendo l’approccio tardivo, misurato sul commercio e sulla custodia cautelare che caratterizza le istituzioni, ma fortunatamente arriva anche troppo presto per trasformarsi in una parata funebre e postuma che sarebbe annegata nella museificazione totale.

Inoltre l’interesse da parte di questi enti facoltosi ha permesso a Straub e Barbara Ulrich di avviare un processo di digitalizzazione dei film girati in pellicola, operazione che Straub e Huillet supervisionano da sempre (memorabili alcune loro discussioni con i tecnici Rai durante la creazione dei supporti per la messa in onda) con cura e attenzione non comune, la stessa che hanno sempre dedicato ad ogni fase del processo realizzativo.

Nonostante la «confezione» della retrospettiva sembri sfiorare la perfezione l’aggettivo integrale che l’accompagna pone almeno un paio di questioni. La prima riguarda l’integralità in quanto interezza: ci si ostina a vendere come totali filmografie e raccolte nonostante le smentite continue che il cinema ci pone davanti (esemplare Too Much Johnson di Orson Welles, ritrovato soltanto da pochissimi anni, ma i film e versioni inedite, tagli e materiali che riemergono dagli archivi o dal nulla sono numerosi).

In questo caso se la retrospettiva Straub è integrale perché mancano le diverse versioni dei singoli film, riportate puntualmente nella filmografia, curata da Ted Fendt, che accompagna il catalogo? Dove sono le edizioni doppiate, tutte con la supervisione dagli stessi Straub, a volte direttamente con la propria voce come nel caso della versione italiana di Trop tot, trop tard che ha la voce di Huillet? Strano, quantomeno, che manchi In omaggio all’arte italiana, l’opera presentata alla Biennale d’arte di Venezia lo scorso anno in un padiglione a sé, fuori da tutte le nazioni e da ogni «chiesa». In omaggio all’arte italiana mostra anche l’urgenza di preservare le pellicole in disfacimento: il momento centrale dell’opera era una sequenza di Lezioni di storia filmata da Amir Naderi nella cabina di proiezione del MoMA che si interrompe per la rottura del 35mm.

Può darsi che Jean-Marie Straub voglia tenere fuori dalla filmografia il padiglione veneziano ma che sia un «film di Straub» a tutti gli effetti lo conferma Pour Renato, girato lo stesso anno anche se presentato per la prima volta lo scorso 27 maggio, che dell’opera presentata alla Biennale d’arte ha la stessa struttura. Qui c’è il piano sequenza di Othon (1969) che segue Straub ripreso di spalle preso da una pellicola decolorata e rigata, il film si chiude con foto e dialoghi sul set con Renato Berta, eccezionale direttore della fotografia di tanti film degli Straub conosciuto proprio sul set del primo film girato a Roma, la città in cui Berta aveva frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia e la coppia di registi si era da poco trasferita.

C’è anche la maestria di Berta nella realizzazione delle copie Dcp, i risultati ottenuti sono eccellenti, ben diversi dagli scempi che spesso si spacciano per restauri digitali. Se l’integrale rimanda all’integrità, al mantenere integri i lavori della coppia, conservarne la luce, i colori, i suoni la retrospettiva mostra tutto il suo essere necessaria oltre che benvenuta. Resta il fatto che musei, cineteche e simili avrebbero il compito di conservare e ristampare le opere nel loro formato originale, ma di fronte all’incuria e al rischio che i danni fossero sempre più irreparabili, Straub, che non è per niente purista e dal 2009 gira nei formati digitali, ha ovviato decidendo di salvare intanto il suo lavoro attraverso la digitalizzazione.

L’altro film Où en êtes-vous, Jean-Marie Straub? (t.l. Dov’è lei, Jean-Marie Straub?) fa parte della collezione di cortometraggi che il Pompidou commissiona agli autori a cui dedica mostre e retrospettive. JMS gira un film nella casa sul lago di Ginevra dove attualmente passa la maggior parte del suo tempo; ci sono i gatti con cui si combatte la sedia a dondolo, c’è Barbara Ulrich, presenza costante al fianco del regista da quando Danièle è scomparsa nel 2006, c’è lo stesso Straub che rivolge alla camera uno sguardo perso. Sembra che lui stesso non sappia bene dove sia in questo mondo che gli appartiene sempre meno (perché sempre più lontano dalla sua visione non per l’età), ma che sia qui o altrove JMS non è certamente in Italia né lo sono le sue opere. Basta sfogliare l’agenda del sito straub-huillet.com e si nota immediatamente che i film vengono proiettati ovunque tranne che in Italia.

Eppure è in Italia che Jean-Marie e Danièle decisero di trasferirsi nel 1969, accolti da Adriano Aprà a Roma, dove hanno abitato fino al 2006; sono in italiano almeno un terzo dei loro film e ancor di più quelli girati nella penisola; su Rai 3, finché Fuori Orario ha avuto la possibilità di acquistare film, sono passati tutti i lavori della coppia (Proposta in quattro parti e Europa 2005 sono stati anche prodotti da Ghezzi) ed è Venezia, il festival prima della Biennale, che nel 2005 gli ha conferito il Leone d’oro «per l’innovazione del linguaggio cinematografico».

A novembre 2001 Enrico Ghezzi e Roberto Turigliatto, curatori di un omaggio «espanso» al Torino film festival, presentavano gli Straub come «cineasti italiani». Oggi invece tranne Il Manifesto, Filmcritica e Fuori Orario di Straub non si interessa nessuno (tra i festival fa eccezione Filmmaker che ha proiettato L’Aquarium e la nation nel 2015) e dal 2008 i film sono stati presentati quasi sempre al Trevi di Roma a mesi e anni di distanza dalla loro realizzazione per gentile e gratuita concessione di Jean-Marie e Barbara Ulrich. Sarà anche per questa

noncuranza che tra gli oltre quaranta interventi che compongono il libro Internationale Straubienne soltanto due sono di itaiani, quello di Cristina Piccino e l’altro di Giorgio Passerone, che però vive da anni a Parigi ed è soprattutto nella capitale francese che ha sviluppato il suo rapporto con Jean-Marie.

Si sente la mancanza delle testimonianze di chi come Aprà è stato amico, attore, esegeta (giustamente Cristina Piccino nel suo scritto parte da alcune sue dichiarazioni sull’arrivo degli Straub in Italia); si sente l’assenza di chi come Enrico Ghezzi ha sempre sostenuto, diffuso e anche prodotto il lavoro dei due cineasti.
Non c’è traccia delle donne e degli uomini di Buti, da Andrea Bacci a Giovanna Daddi, che hanno accolto e collaborato non solo come attori con Jean-Marie e Danièle per anni, offrendo il loro teatro comunale per le prove e la realizzazione degli spettacoli teatrali che hanno preceduto o seguito la realizzazione dei film da Sicilia! (1999) a L’inconsolabile (2010). Manca Romano Guelfi, attore che ha filmato per anni le messe in scena teatrali (almeno una non andava programmata?), e Giulio Bursi e Maurizio Buquicchio, assistenti alla regia.

L’elenco non vuole essere un lamento, il rapporto tra Straub e l’Italia continua anche a distanza, due degli ultimi film hanno Venezia nel titolo mentre Roma compare nel Corneille-Brecht come «unico oggetto del mio risentimento». L’amarezza è più che comprensibile ma Jean-Marie ci conosce bene e sa che tutti i suoi film girati in Italia, con e senza Danièle, ci mettono di fronte allo scempio di cui siamo, malgrado tutto, tutti complici. C’è un cieco peggiore di quello che non vuole vedere: è quello pensa di aver già visto tutto.