Con la consueta puntualità, l’Inps ha pubblicato ieri i dati dell’Osservatorio sul precariato per il mese di ottobre: tra gennaio e ottobre il numero totale di nuovi contratti è pari a 574.765 di cui 101 mila a tempo indeterminato (comprendenti sia contratti a tutele crescenti che contratti del vecchio tipo) e 473.765 a termine. A questi vanno aggiunte le trasformazioni, 406.691. Inoltre, nei primi dieci mesi del 2015, sono stati venduti 91.867.175 voucher, una trend che sembra non arrestarsi e che interessa sempre più lavoratori. Dal dettaglio mensile si nota che a ottobre i contratti a tempo indeterminato netti registrati dall’Inps sono 2.759, mentre quelli a tempo determinato 11.516. Una differenza che non si riduce nel tempo, a riprova che i contratti favoriti dalle imprese sono quelli a termine, nonostante gli sgravi e gli spot pubblicitari sui saldi di fine anno – dato che dal primo gennaio 2016 gli sgravi diminuiranno sensibilmente.

Nel complesso del 2015, non è possibile andare in profondità circa le tipologie professionali, in quanto il rapporto offre solo uno spaccato parziale di quel che sta avvenendo nel mercato del lavoro, pubblicando esclusivamente il dato sulle attivazioni e non anche quello relativo alle cessazioni. Lo stesso vale per la distribuzione anagrafica e geografica. Questo mese, inoltre, l’Inps non fornisce il dato sulle assunzioni e trasformazioni a tempo indeterminato stipulate con lo sgravio contributivo, «poiché le festività dei primi giorni di dicembre hanno causato un ritardo nell’elaborazione delle denunce che non ha consentito i tempi tecnici per quantificare il numero di rapporti attivati con l’esonero». Quel che si sa è che i contratti a tempo indeterminato sono il 18% del totale, mentre quelli a tempo determinato l’82%, escluse le trasformazioni. Queste ultime rappresentano l’80% del totale dei contratti «stabili».

È evidente che il Jobs Act ad oggi non è in grado di creare nuova e stabile occupazione, e questo per due ragioni fondamentali. In primo luogo è necessario ricordare, ad ogni piè sospinto, che il contratto a tutele crescenti è virtualmente indeterminato: le imprese possono licenziare un lavoratore semplicemente elargendo due mensilità per anno lavorato. In secondo luogo, come i dati mostrano, la nuova occupazione in Italia è dovuta ai contratti a termine, ai voucher e alle stabilizzazioni precarie. Queste ultime, peraltro, spesso cessano nei primi tre anni, stando a quanto riportano i dati del fu osservatorio statistico del Ministero del Lavoro. Sebbene, i fatti (ed i numeri) abbiano la testa dura, questi sembrano aver trovato dei degni concorrenti. La realtà, infatti, continua ad essere osteggiata dalla propaganda del Partito Democratico, tutti in coro a osannare i nuovi dati e quasi a denigrare il lavoro dell’Istat che certifica come queste movimentazioni contrattuali non riescono a produrre nuovi occupati. Addirittura, Filippo Taddei, docente universitario e responsabile economico del Pd, preso dalla foga di dire qualcosa a favore del governo sbaglia i calcoli e confonde il totale dei nuovi contratti del 2015 con la differenza tra questi e quelli dello stesso periodo del 2014. Soprattutto Taddei contrappone il dato Istat sugli stock ai dati amministrativi dell’Inps, che invece misurano i flussi contrattuali.

Due fonti diverse e complementari, che andrebbero approfondite con più dati e non con la messa in contrapposizione delle diverse fonti. Infine, non si capisce perché, parlando della «trasformazione del lavoro in Italia» mai si fa cenno al dato sui voucher oppure al dato (parziale) sui settori in cui si le assunzioni si concentrano. Più di un terzo dei nuovi contratti si riferiscono al commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli; trasporto e magazzinaggio, servizi di alloggio e di ristorazione. In sostanza, pochi contratti concentrati in settori a basso valore aggiunto e produttività, minando la già gracile condizione strutturale della nostra economia. Un tema delicato, ma necessario, di cui insieme a Valeria Cirillo e Dario Guarascio ci siamo occupati in un recente lavoro accademico pubblicato all’interno del progetto ISIGrowth Horizon 2020 e disponibile sul sito isigrowth.eu.