In genere, ciò che si vede dà buoni motivi per credere e fornisce anche basi affidabili per il conoscere. Se vediamo un’auto in strada, siamo portati a credere, e dunque a sapere, che quella macchina si trovi sul serio lì. Certo, talvolta ci imbattiamo in illusioni, ma sono rare. I nostri occhi costituiscono un’ottima fonte di conoscenza.
Come pure lo sono le nostre orecchie: le persone spesso ci dicono cose alle quali crediamo e che perciò stesso sappiamo. Se qualcuno ci dice dove si trova la toilette, aggiungiamo un tassello di conoscenza. Nelle nostre esistenze di ogni giorno, le persone non hanno intenzione ingannarci.
Il problema è che i sistemi con i quali acquisiamo le conoscenze utili nella quotidianità ci deludono quando passiamo ad una vita online. È come se entrassimo in una stanza piena di specchi.

La casa degli specchi è un’attrazione che sfrutta il modo in cui i nostri sensi funzionano. Quando vi entriamo troviamo specchi che fanno sembrare alto chi è basso oppure che ingrassano chi è magro. Alcuni distorcono e sfigurano, mentre altri sono stranamente lusinghieri. La parte migliore viene quando si entra nel labirinto, pieno di superfici riflettenti contrapposte: non si riesce più a capire se si sta guardando un’amica o il suo riflesso oppure se ci siano dozzine di persone (mentre in realtà ce ne sono poche). Diventa pressoché impossibile spostarsi e riguadagnare l’uscita.
In un parco divertimenti, la casa degli specchi è un’attrazione vincente: ci piace il senso di disorientamento che proviamo perché, dopotutto, è solo momentaneo. Il problema è che oggi dobbiamo affrontare una situazione analoga ma tutt’altro che divertente: tentare di acquisire conoscenze su internet è come provare a orientarsi in una stanza degli specchi. Utilizziamo strumenti che normalmente risultano efficaci (crediamo a ciò che vediamo e ascoltiamo), ma nella rete risultano inutili. L’immagine della realtà che ci viene restituita è fortemente distorta, a volte quelle che appaiono come folle si rivelano gruppi ristretti. Farsi strada in questo labirinto si dimostra oltremodo difficile.

Perché? Una delle ragioni è che su internet i comuni metodi di conoscenza non sono affidabili, dato che nel web vengono amplificati tutti quegli effetti psicologici che tendono a compromettere i contenuti della conoscenza. Fra i meccanismi più dannosi vi sono la polarizzazione di gruppo, la legge del branco, la manipolazione delle masse, le umiliazioni e le gogne anonime, l’isteria collettiva e la mentalità del gregge.

Un’altra ragione che spiega il fallimento dei comuni mezzi cognitivi quando sono applicati online, è che la struttura stessa di internet si presta a essere ingannata attraverso operazioni psicologiche (manovre psicologiche, in inglese Psyops), se in gioco c’è qualcosa di importante. Le Psyops sono strategie sviluppate dai militari e dalle strutture di intelligence che comunicano a individui, gruppi o governi informazioni attentamente studiate per sviare le capacità di ragionamento, i sentimenti, le intenzioni e le azioni. Un modo per farlo è impiegare strumenti tecnologici per intasare i canali online dando l’apparenza di un plauso (o di una condanna) nei confronti di qualche dottrina, idea o persona. I cosiddetti «sockpuppets» (letteralmente «calzini fantoccio») sono account con identità fittizie creati online allo scopo di raggirare e manipolare gli altri.
Forse l’esempio più sconvolgente di questa tecnica è stato rivelato quando gli hackers di Internet Feds (successivamente denominato Lulzec) violarono e diffusero le email di un appaltatore per i servizi di intelligence privati di nome HBGary. Questi lavorava con diverse compagnie private di intelligence nel Team Themis, che sviluppava progetti per condurre Psyops contro vari gruppi di interesse pubblico negli Stati Uniti.

Le email scoperte dagli hacker fornirono le prove che il Team Themis stava elaborando un sistema di «gestione dei personaggi»: un programma sviluppato su specifica richiesta dell’aeronautica militare degli Stati Uniti, al fine di consentire a un utente di controllare molteplici identità online (i «sockpuppets») per commentare sui social network e nei forum, dando così l’impressione di essere un movimento di base, nato dal basso.

Il sistema di gestione permetteva a un singolo individuo di assumere sulla rete un numero illimitato di identità e affollare le chat e gli altri ritrovi online esprimendo consenso o opposizione verso determinate affermazioni o persone. Lo scopo era minare le proprietà democratiche dei dibattitti in rete. Le tante «persone» che sostengono una cosa potrebbero benissimo essere un unico utente seduto a una scrivania del Pentagono, come anche un’agenzia di intelligence o di lobbying.
Internet naturalmente facilita questa possibilità perché non c’è alcuna garanzia di un rapporto uno-ad-uno fra individui e identità online. Il problema, in realtà, è ancora più complesso: l’anonimato di un account digitale rende difficile, se non impossibile, sapere quali siano le vere opinioni della persona dietro il personaggio.

Per evitare di essere ingannati da Psyops di questo tipo dobbiamo imparare a identificarle e capire come funzionano, per poi esplorare le possibili soluzioni alla degenerazione epistemica che scatenano. L’obiettivo fondamentale è trovare il modo di mitigare gli effetti di questa degradazione della conoscenza e sventare gli «attacchi cognitivi» (come le manipolazioni di massa pianificate) dei gruppi avversari. Come proteggerci da questa nuova forma di inganno digitale? Purtroppo la risposta, al momento, non c’è. Ciò che sappiamo è che filosofi, teorici dei media e attivisti devono iniziare a occuparsi di questo problema e a lavorare per sviluppare nuove strategie per tenere al sicuro la conoscenza, in quella sconcertante casa degli specchi che è internet.

 

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