I volumi progettati da amici, colleghi, allievi, in occasione dell’anniversario di uno studioso o del suo congedo dall’università risultano qualche volta, e per loro natura, rituali e frammentari. Nonostante le sue 1308 pagine, il libro dedicato ai sessant’anni di Fabio Minazzi (Le radici della razionalità critica: saperi, pratiche, teleologie, a cura di Dario Generali, Mimesis, euro 58) costituisce invece un’opera unitaria, nella quale le differenti prospettive e la varietà degli argomenti rappresentano un documento efficace e poliedrico del panorama filosofico contemporaneo.
La maggior parte dei contributi esprime la ricchezza di quella Scuola di Milano che ha avuto in Antonio Banfi, Giulio Preti, Mario Dal Pra, Ludovico Geymonat i suoi più importanti esponenti. Filosofi diversi tra di loro ma accomunati dalla fiducia in una razionalità che si fa scienza senza diventare scientismo, vale a dire senza cadere nell’errore di chi ritiene «che vi siano solo relazioni causali tra eventi e che ogni forma di comprensione del reale debba risolversi nel rinvenire le cause efficienti dei fenomeni» (Coliva). La fenomenologia husserliana – diffusa e difesa in Italia, tra gli altri, da Enzo Paci e Carlo Sini – nasce anche «tra le maglie di un pensiero esercitatosi sin dalla giovinezza alla vocazione di chiarezza ed evidenza del sapere logico-matematico e insieme fermo nell’individuazione di una forma di scientificità autonoma del pensiero filosofico», scrive Marina Lazzari.

La tradizione nella quale Minazzi si è formato, e di cui è forse oggi il massimo esponente, è quella del «razionalismo critico», il quale pone a fondamento del mondo e della sua comprensibilità «l’assunto dell’uniformità e dell’universalità delle leggi della natura», come afferma Dario Generali, senza però cadere nell’ingenuità di chi ritiene che la realtà sia qualcosa che l’indagine umana si limita a percepire, cogliere, rappresentare. Contro coloro che «pur avendo letto Wittgenstein e Husserl e Merleau-Ponty e altri ancora, vi parleranno, tranquilli e sicuri, della ’realtà in sé’ delle cose» (Sini), fenomenologia e razionalismo critico partono dalla complessità di un mondo fatto di relazioni tra mente e materia, di leggi elaborate dalla cultura umana e volte a comprendere la natura come essa appare alla nostra specie, con le regolarità e le forme che le scienze elaborano, correggono, trasformano, in uno sforzo che non ha mai fine.

Il libro affronta le grandi tematiche che vanno dai problemi teoretici – ragione, verità, realtà -, ai rapporti tra filosofia e scienza; dalla grande stagione della filosofia italiana del secondo dopoguerra alle questioni pedagogiche e storiche. Numerosi saggi sono dedicati ad accurate ricostruzioni storiografiche ed ermeneutiche dell’opera dei filosofi più noti. Molto spazio viene dato alla funzione civile e politica dell’operare scientifico e filosofico. Per quanto diversi tra di loro, tutti i contributi intendono collocarsi nell’orizzonte scientifico e insieme «militante» della cultura contemporanea, tentando di rispondere alle domande che il corpo sociale pone agli intellettuali.

Non è un caso, poi, che tra le dieci sezioni che compongono l’opera una sia dedicata alle profonde interazioni che intercorrono tra letteratura, arte, psicologia e filosofia. Enzo Paci fu sempre molto attento al contributo fondamentale che la poesia e la narrativa offrono al pensare filosofico. Il poeta Rilke, ad esempio, «è una delle chiavi di volta della grande reinterpretazione paciana di Husserl a partire dagli anni Sessanta», anche per il contributo fondamentale che il pensiero husserliano offre al chiarimento della struttura del tempo.
Sempre in ambito letterario, uno dei saggi più intriganti del volume è la ricognizione che Maria Gabriella Riccobono dedica alle similitudini nei Promessi Sposi, romanzo il cui spessore filosofico e psicologico andrebbe meglio analizzato e valutato. In esso, ad esempio, «vi è legame strettissimo tra corpo e mente, tra salute/malattia ed emozioni: esemplare il febbrone che coglie Don Abbondio, alla fine del cap. II, dopo il colloquio con l’infuriato Renzo».

Se «la vita umana è un nulla, uno scherzo della natura, una condizione affidata alle più imprevedibili casualità e circostanze», come leopardianamente scrive Carlo Sini, scienza, filosofia e arte rappresentano le strategie più efficaci per darle comunque senso. L’illuminismo di questo studioso è sempre stato coniugato a un marxismo anch’esso critico, confermato dai costanti rapporti di Minazzi con il movimento operaio e le associazioni partigiane. La sezione conclusiva dell’opera è significativamente intitolata «L’arma della critica di Fabio Minazzi», una formula marxiana che esprime e sintetizza le motivazioni dell’attività scientifica e didattica di questo filosofo