Narratore di indubbia qualità, arrivato piuttosto tardi sui nostri scaffali, negli Stati Uniti Allan Gurganus vanta da sempre estimatori illustri: da John Cheever a Richard Ford, da Amy Hempel a John Irving. Peraltro, il successo critico venne doppiato, all’esordio, nel 1989, con L’ultima vedova sudista vuota il sacco (Leonardo, 1991), da oltre quattro milioni di copie vendute, a testimonianza di un talento trasversale, che oggi possiamo vedere confermato nell’ultimo titolo tradotto da Maria Baiocchi e Anna Tagliavini, L’esca (Fandango/Playground, pp. 237, € 17,00), terza parte di quell’opera-mondo che è Local Souls (uscito in America in un unico volume comprendente, oltre quest’ultimo racconto lungo, Anche le sante hanno una madre, edito l’anno passato sempre da Playground).

Il setting è, di nuovo, l’immaginaria Falls, nella Carolina del Nord, vero e proprio universo artistico autosufficiente e epitome, per il settantenne Gurganus, di un cosmo ben più popoloso degli oltre seimila abitanti della cittadina: qui, sulle sponde del fiume Lithium, i protagonisti si avvicendano come personaggi di un romanzo corale nel corso di un arco di tempo che copre quasi mezzo secolo (dai primi anni settanta all’alba del nuovo millennio), tra piantagioni di tabacco, country club e quartieri residenziali.

Diviso in due parti, prima e dopo l’esondazione che distrugge la gran parte di Falls, Decoy (così in originale) è narrato in prima persona da Bill Mabry, un biondo assicuratore figlio di «Red» e come lui affetto da una patologia congenita al cuore che lo costringe a continue visite di controllo; ma il vero asse del racconto è «Doc» Roper, una prima vita passata ad assistere non solo i Mabry, ma l’intera comunità locale nel suo piccolo ambulatorio di Riverside, e una seconda vita – dopo aver lasciato la professione medica – dedicata a intagliare minute quanto dettagliate esche di legno firmate col suo nome di battesimo, Marion.

Nell’ambiguo rapporto tra Bill e Doc, giocato sul controverso vincolo di dipendenza che lega il paziente al curante, Allan Gurganus (già allievo di Grace Paley) sciorina tutta la sua abilità nell’esplicitare i non detti attraverso le azioni e i percorsi di un pensiero – quello di Bill, soprattutto – solo all’apparenza lineare: la natura si confonde con la psicologia e, così avvinti, gli elementi trascolorano dalla quotidianità a una dimensione primigenia in cui la dimensione simbolica sostituisce quella realistica. Proprio come nella battuta di pesca che apre e chiude il volume, quando, finalmente, il destino di Bill si compie nell’opera lignea di Doc: «nel buio sento meglio le incisioni sui fianchi, ciascuna piuma intagliata in modo rigoroso, come una Bibbia in braille. Neanche un errore, non è un falso. Si gonfia qui, tra le mie mani. Fatto apposta per me. Poiché ho mancato la mia versione più completa, confido ancora di più in questa, la sua versione di me».