Non è bastata la vittoria alle parlamentari e il buon successo nell’Assemblea degli Esperti al presidente moderato, Hassan Rohani, per contenere le mire politiche degli ultra-conservatori iraniani. Ieri con 51 voti, l’ayatollah radicale, Ahmad Jannati, 90 anni, è stato nominato presidente dell’Assemblea che nei prossimi anni dovrà nominare il successore della Guida suprema, il 77enne Ali Khamenei.

Jannati è stato uno dei pochi politici ultra-conservatori ad essere rieletto lo scorso febbraio, dopo il successo moderato nel voto parlamentare. Eppure non è bastato l’accordo tattico tra nuovi riformisti di Reza Aref e moderati di Rafsanjani per impedire che l’alleanza di ferro tra conservatori di Khamenei e radicali, vicini all’ex presidente Ahmadinejad, ottenesse i voti necessari che hanno permesso la nomina di Jannati. La presidenza dell’Assemblea degli Esperti in mano ai radicali è un segnale molto preciso in politica interna per moderati e riformisti. Le speranze che gli uomini di Rohani possano avere un ruolo più significativo in politica interna si allontanano, per varie ragioni.

Prima di tutto perché la Guida suprema, Ali Khamenei, non crede davvero che sia vicina la fine delle sanzioni contro Tehran da parte degli Stati uniti e per questo punta a frenare le spinte dei moderati che vorrebbero, da una parte, ulteriori aperture in politica estera e, dall’altra, riforme in politica economica. Questa nomina segna anche il percorso di un nuovo radicalismo che ha portato molti commentatori in Iran a salutare con occhio favorevole un ritorno in politica dell’ex presidente Ahmadinejad in vista delle presidenziali del 2017.

Jannati ha sempre criticato la politica di apertura verso Europa e Stati uniti di Rohani contestando anche la crescita degli investimenti esteri che sta segnando ormai la politica economica dei tecnocrati. Jannati è anche il leader del Consiglio dei Guardiani che è incaricato di controllare le liste elettorali e cancellare i candidati sgraditi all’establishment, spesso vicini al movimento riformista. Tuttavia, dopo il ballottaggio dello scorso 29 aprile, moderati e riformisti si sono assicurati la maggioranza in parlamento (Majlis), e hanno letteralmente stracciato i loro rivali conservatori a Tehran. E così in politica interna, il nuovo corso moderato fatica davvero a concretizzarsi.

Nei giorni scorsi, otto persone sono state arrestate per cyber-crimini legati al loro lavoro per agenzia di moda «non-islamiche». Gli arresti sono avvenuti nell’ambito di un’operazione che ha preso di mira donne iraniane che postavano sui social network le loro foto senza hejab. Sono 170 le persone coinvolte nel caso, inclusi 59 fotografi e 58 modelli. L’annuncio della retata è arrivato dagli schermi della televisione pubblica da parte del procuratore, Javad Babaei, che ha parlato di «minacce alla moralità». In campagna elettorale, Rohani aveva promesso un rilassamento nei controlli della polizia morale che fin qui non si è ancora realizzato.

In attesa che gli Stati uniti facciano passi concreti per realizzare le loro promesse di scongelare i miliardi iraniani bloccati nelle banche Usa in seguito alle sanzioni per il programma nucleare iraniano, Tehran, con le dovute cautele, guarda sempre di più verso Mosca che ha iniziato a consegnare i suoi missili S-300 e l’India. Delhi investirà 500 milioni di dollari per operare nel porto iraniano di Chabahar, al confine con il Pakistan. Il porto aprirà un’importantissima strada di transito per le merce iraniane verso l’Afganistan e l’Asia centrale. Secondo la stampa iraniana, il progetto si inserisce in un più generale scontro sul controllo dei porti e del commercio marittimo tra Cina e India. Delhi vorrebbe anche incrementare l’importazione di gas dall’Iran. Per anni le relazioni diplomatiche tra i due paesi sono state segnate dal sostegno che il governo indiano diede alle risoluzioni dell’Agenzia per l’Energia atomica (Aiea) contro il programma nucleare di Tehran.

Ma il governo moderato deve affrontare una seconda questione diplomatica di rilievo: le relazioni bilaterali con i sauditi. Dopo la strage di 460 iraniani, vittime della calca, al pellegrinaggio dell’hajj. Il ministro della Cultura, Ali Jannati, ha promesso che i cittadini iraniani non prenderanno più parte al grande pellegrinaggio. L’annuncio è arrivato dopo il fallimento nei colloqui tra Tehran e Riyad, avviati in seguito all’attacco all’ambasciata saudita in Iran dopo l’esecuzione del religioso sciita, Nimr al-Nimr.