Da una parte ci sono gli uomini, proprio come nei matrimoni arabi tradizionali, dall’altra le donne. Truppe coloniali inglesi, legione straniera, beduini e anche senegalesi della guarnigione francese sono ritratti dalla prima corrispondente di guerra della storia, l’americana Margaret Bourke-White (1904-1971) che è stata anche la prima donna fotografa di Life (sua anche la prima copertina del settimanale del 23 novembre 1936). Datate 1940, queste foto sono state scattate in uno scenario che è prevalentemente quello del deserto siriano. Sette mesi dopo, gli Stati Uniti sarebbero entrati in guerra contro la Germania nazista e i suoi alleati. Esporre questo nucleo di vintage, proveniente dall’archivio di Life, nell’ambito della mostra The Middle East Revealed: A Female Perspective alla Howard Greenberg Gallery di New York (fino al 30 agosto) è il punto di partenza per intercettare altre possibili riflessioni. Attraversati questi ultimi settant’anni di storia, a parlare – stavolta – sono le donne. Non solo in quanto soggetto, ma anche come attente osservatrici di una società quanto mai complessa come quella mediorientale. Ma la yemenita Boushra Almutawakel, l’iraniana Shadi Ghadirian, la libanese Rania Matar e la saudita Reem Al Faisal ci mostrano anche aspetti meno prevedibili. Lo fanno attraverso lo strumento della fotografia che, come il video, è un’arte «nuova», con minori condizionamenti e restrizioni espressive. Ci si può lasciar andare alla trasposizione lirica, come Reem Al Faisal (vive tra Jedda e Parigi) con le sue grandi foto in bianco e nero della Mecca. Il pellegrinaggio (la serie Hajj) non è solo un dovere per ogni buon musulmano, può raccontare anche un momento di aggregazione. Seguendo la sua innata indole alla traduzione metaforica, qui il bianco e nero dà voce alla coralità pulsante. Una collettività fatta di individui – uomini e donne – come è ben consapevole la fotografa-principessa (il suo bisnonno era Re Abdul Aziz). Alle prese con gli opposti – modernità/tradizione, pubblico/privato, sono le figure femminili ritratte da Shadi Ghadirian (Teheran, 1974) nelle note immagini seppiate della serie Qajar (1998). Umorismo e ironia alleggeriscono la pesantezza di un dato di fatto: essere donna in Iran vuol dire combattere per affermare i propri diritti. Ma la vita va avanti, come afferma anche Boushra Almutawakel (Sana’a 1969) con la sua notissima serie fotografica Mother, Daughter, Doll (2010) che focalizza l’involuzione culturale in corso nel suo paese. Spetta a Rania Matar (Beirut 1964, vive e lavora tra Boston e Beirut) il compito di sottolineare, invece, come non ci siano confini quando si parla di adolescenza. A Girl and Her Room (2010-2013) introduce a situazioni oggettivamente diverse, negli Stati Uniti e in Medio Oriente, di cui sono protagoniste delle teenager che, indipendentemente dalla geografia e politica, hanno gli stessi sogni e vulnerabilità.