I Tornado GR4 di sua maestà hanno cominciato ieri a bombardare in Iraq postazioni dello Stato Islamico (Isis), poche ore dopo il via libera deciso dal parlamento britannico. Oltre a Londra anche Belgio e Danimarca si sono uniti alla coalizione occidentale-araba messa in piedi da Barack Obama, ufficialmente per annientare le capacità belliche dei jihadisti. Grazie a questi nuovi arrivi, gli Usa ora concentrano i loro raid solo in Siria. La notizia più rilevante però è un’altra. Il leader turco Erdogan ci riprova, rimette sul tavolo la sua vecchia idea: utilizzare truppe turche per creare una “zona di sicurezza in Siria per i profughi in fuga”. Più volte, da quando è cominciata la guerra civile siriana ed Erdogan è diventato uno dei nemici più accesi del presidente Bashar Assad, Ankara ha avanzato l’idea di una zona cuscinetto. In questo modo oltre ad ottenere il controllo su aree strategiche a cavallo tra Turchia e Siria, dove si muovono i combattenti del Pkk curdo e delle forze sue alleate, il leader turco con il pretesto di favorire gli aiuti umanitari ai profughi, potrebbe dare vita a una sorta di territorio governato solo dall’opposizione siriana (alla quale già offre ospitalità ed appoggi da tre anni).

 

Al quotidiano Hurriyet, il presidente turco ha detto che sono in corso negoziati per stabilire quali Paesi possano partecipare ad una tale “operazione”. Erdogan, di rientro dall’Assemblea generale dell’Onu a New York, aveva annunciato che la posizione di Ankara nella lotta contro l’Isis è cambiata dopo la liberazione degli ostaggi turchi, lasciando intendere che la Turchia potrebbe unirsi alla coalizione. Passo dopo passo, grazie anche alla “lotta ai terroristi dell’Isis”, procede la realizzazione di piani, disegni e progetti concepiti dall’ampio fronte anti-Damasco in questi ultimi anni. L’intensificazione dei raid e il conseguente aumento dell’attività aerea della coalizione nei cieli del nord della Siria, esclude automaticamente che Assad possa impiegare la sua aviazione in quelle aeree. I Mig siriani, stando a quello che hanno riportato i media locali, hanno compiuto gli ultimi raid due giorni fa. Ora è più arduo far decollare aerei da combattimento in un cielo affollato dei caccia della coalizione occidentale-araba. Il rischio di “incidenti” (e abbattimenti) dei vecchi Mig sarebbe altissimo. Nel silenzio prende vita quella “no-fly zone” che l’opposizione siriana ha invocato per anni, allo scopo di eliminare dallo scenario della guerra civile la superiorità aerea governativa. E i raid della coalizione si spingono ora sempre più verso il centro della Siria che è sotto il controllo di Damasco: ieri sono state colpite presunte postazioni dell’Isis intorno a Homs tornata, prima dell’estate, sotto il controllo dei governativi.

 

E si ricomincia a ipotizzare, di nuovo, un intervento di “truppe di terra”, non occidentali (escludendo gli agenti della Cia, di altri servizi segreti e gli “addestratori” che già operano da anni in Siria a sostegno dei ribelli). Gli Usa pensano a quelle forze “moderate” siriane alle quali amano fare riferimento. Chi sono? Non si è capito. Perché se parlano dell’Esercito libero siriano – la milizia della Coalizione Nazionale dell’opposizione – allora fanno affidamento su di una forza che sul terreno non conta quasi più nulla. Se invece si riferiscono alle ben organizzate fazioni islamiste riunite nel Fronte Islamico (partorito dalle generose finanze saudite) allora pensano a jihadisti che ideologicamente non sono molto diversi dall’Isis o da al Nusra (il ramo siriano di al Qaeda). Gli Usa programmano di addestrare 5 mila “ribelli” siriani ma il comandante militare in capo Martin Dempsey ha spiegato che sono necessari almeno 15mila uomini ben addestrati per riprendere il controllo dei “territori perduti”. Territori siriani che, ovviamente, non verrebbero messi sotto il controllo di Damasco ma rimarrebbero nelle mani dell’opposizione.

 

Scenari che evidentemente sono ben chiari ad alcuni dei governi che hanno deciso di non prendere parte all’“operazione anti-Isis”, dalla dubbia legalità internazionale, specie per quanto riguarda la Siria che, a differenza dell’Iraq non ha chiesto alcun aiuto e, in ogni caso, chiede un coordinamento con la “coalizione”. Il ministro degli esteri brasiliano, Luiz Alberto Figueiredo, ha ribadito che il suo Paese è contrario ai raid aerei. «La visione del Brasile – ha detto Figueiredo parlando da New York, dove ieri ha incontrato il Segretario di stato John Kerry – è che l’uso della forza o è per legittima difesa o è autorizzato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Così è previsto nella Carta dell’Onu». La presidente brasiliana Dilma Rousseff mercoledì all’Onu aveva condannato i bombardamenti contro l’Isis perchè, ha spiegato, «incapaci di eliminare le cause profonde dei conflitti».