Al quarto giorno di incendi in Israele la situazione ieri sera non era ancora sotto controllo anche se alle decine di migliaia di sfollati di Haifa è stato dato il via libera per il ritorno a casa. Molti però non hanno più un tetto. Soltanto ad Haifa le fiamme hanno danneggiato circa 600 abitazioni e distrutto completamente altre 40 case. Il vento ieri ha contribuito ad innescare nuovi roghi, in particolare a ridosso di Gerusalemme dove le fiamme hanno costretto alla fuga centinaia di abitanti del villaggio di Beit Meir. L’intervento degli aerei antincendio giunti da diversi Paesi hanno dato una mano importante ai vigili del fuoco israeliani ma il pericolo di nuovi gravi incendi non è passato. Così come non è tramontata l’accusa che diversi esponenti politici israeliani hanno rivolto ai palestinesi, inclusi quelli con cittadinanza israeliana, di essere i responsabili degli incendi dolosi. I media locali hanno dato scarso risalto al soccorso prestato da squadre di vigili del fuoco giunte dalla Cisgiordania, in particolare da Jenin, per aiutare a spegnere le fiamme alla periferia di Haifa. Il premier Netanyahu giovedì aveva addirittura parlato di «atti di terrorismo», avvertendo che i responsabili (se arabi naturalmente) saranno puniti severamente (potrebbero perdere la cittadinanza) pur non avendo in mano le prove di una regia “occulta” degli incendi.

Dei 15 arrestati dalla polizia, tre sono abitanti di un villaggio arabo della Galilea, altri quattro vivono in Cisgiordania. Un beduino di Bersheeva è stato fermato e detenuto per «istigazione» su Facebook. Certo sui social gli incendi sono stati presentati da alcuni palestinesi ed arabi come una “punizione divina” per la legge in discussione in Israele che mira ad eliminare gli altoparlanti delle moschee. Ma anche un sito religioso ebraico, vicino ai coloni, ha sostenuto che il governo Netanyahu paghi così il prezzo per non aver ancora approvato la “sanatoria” per gli avamposti coloniali ebraici in Cisgiordania. Le televisioni ieri sera hanno trasmesso immagini dei piromani in azione. Però non sono state raccolte prove a sostegno della tesi “degli atti di terrorismo” portata avanti da Netanyahu e da non pochi dei suoi ministri. Da parte loro i rappresentanti politici della minoranza palestinese respingono con forza le accuse e denunciano la campagna portata avanti dalla destra allo scopo, dicono, di delegittimare gli arabo israeliani.

In queste ore parla di “delegittimazione” anche il governo israeliano, a proposito del provvedimento annunciato dalle autorità francesi. Parigi, sulla base delle direttive approvate un anno fa dalla Commissione dell’Ue, chiede di apporre etichette diverse da “Made in Israel” ai prodotti provenienti dalle colonie ebraiche costruite sulle Alture del Golan, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Si tratta di regioni siriane e palestinesi che Israele ha occupato militarmente nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni. Di conseguenza la comunità internazionale non li riconosce come parte del territorio dello Stato ebraico. I regolamenti commerciali in questo caso impongono a Israele di precisare, nell’etichetta, che quelle merci sono state prodotte nei Territori occupati. Una procedura normale. Invece secondo Israele, rispettando le direttive europee, la Francia avrebbe adottato una politica di discriminazione verso i cittadini israeliani che vivono e producono nelle colonie ebraiche. «C’è da rammaricarsi – ha commentato il portavoce del ministero degli esteri Emmanuel Nachshon – che proprio la Francia, che pure ha adottato una legge contro i boicottaggi, adotti provvedimenti del genere che potrebbero essere interpretati come un sostegno agli elementi radicali e al movimento per il boicottaggio di Israele». Secondo il portavoce Parigi applicherebbe «un doppio-standard nei confronti di Israele, ignorando invece 200 altri conflitti territoriali in corso nel mondo». È una tesi non nuova questa. In sostanza, di fronte alla gravità delle crisi e delle guerre che devastano il Medio Oriente e altre aree del mondo, la comunità internazionale dovrebbe, secondo Israele, dimenticare situazioni «irrilevanti», poco importanti, come l’occupazione dei Territori che dura da quasi 50 anni e il fatto che milioni di palestinesi continuino a rivendicare invano libertà e indipendenza.

Tel Aviv in queste ore deve fare i conti anche con il successo della campagna “Settimana internazionale #StopHP”, da ieri fino al 3 dicembre, promossa dal movimento Bds per il boicottaggio di Israele e delle aziende straniere che, anche indirettamente, partecipano alla violazione dei diritti dei palestinesi. La Hewlett Packard (HP) perciò è stata rimossa dal programma del convegno “Etica e Responsabilità Sociale dell’Informatica” che si svolgerà a Milano il 5 dicembre. La HP, spiega il Bds, ricopre un ruolo di grande rilievo fornendo a Israele il sistema biometrico di identificazione per posti di blocco militari per schedare i palestinesi. Inoltre sostiene con servizi e tecnologie gli insediamenti coloniali israeliani.