Abu Imad sottolinea che i bulldozer dell’esercito israeliano sono di casa a Khirbet Tana. «Sono venuti tante altre volte a buttarci giù le abitazioni. Questa volta però non hanno risparmiato neppure la scuola e quella più vicina ora è a 10 km di distanza» racconta Abu Imad, uno degli anziani di questo piccolo villaggio agricolo a est di Nablus, in Cisgiordania, dove vivono circa 250 palestinesi. «Vogliono costringerci ad andare via», aggiunge «(gli israeliani) dicono che le nostre case sono illegali. Noi non ci muoviamo, la nostra vita è qui nella nostra terra, nei nostri campi e con le nostre pecore». A inizio settimana le autorità israeliane hanno fatto abbattere 41 strutture abitative, bagni, cucine e altro a Khirbet Tana, lasciando senza un tetto 36 persone tra le quali 11 bambini. Per la scuola è stata la seconda demolizione dopo quella del 2011. La “colpa” di Khirbet Tana è quella di trovarsi a ridosso di una “firing zone”, una zona per l’addestramento delle truppe , e nell’Area C (il 60% della Cisgiordania che resta sotto il pieno controllo di Israele). Qui per un palestinese è quasi impossibile ottenere un permesso edilizio, anche un muretto di mezzo metro non autorizzato viene inesorabilmente ridotto in polvere dalle ruspe israeliane. Sono 38 le comunità palestinesi situate dentro queste “firing zone” che coprono il 18% della Cisgiordania.

Il governo israeliano ripete che la (sua) legge va rispettata e che gli “abusi edilizi” saranno puniti. Un avvertimento che però riguarda solo i palestinesi perchè le colonie ebraiche costruite in Cisgiordania dopo l’occupazione nel 1967 continuano ad espandersi in violazione delle leggi internazionali. E negli ultimi mesi, anche in risposta agli aiuti e ai progetti europei nell’Area C a sostegno delle comunità palestinesi, le demolizioni si sono moltiplicate. Siamo al livello più alto dal 2009 avverte Ocha, l’ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu nei Territori Occupati. Dall’inizio dell’anno, le forze armate israeliane hanno demolito o danneggiato 323 case e altre strutture edilizie in Cisgiordania, lasciando in strada 440 palestinesi, molti dei quali bambini. Un terzo delle strutture prese di mira erano state donate a famiglie senza casa. A forte rischio sono da anni i palestinesi che vivono sulle colline a sud di Hebron, nella Cisgiordania meridionale. Anche in questa zona c’è una vasta area di addestramento militare oltre a numerosi insediamenti colonici. E soggette a demolizion sono pure le comunità beduine a Est di Gerusalemme. Qui lo scorso 21 febbraio le ruspe militari hanno ridotto in macerie la scuola elementare di Abu al Nuwwar, costruita con fondi europei perchè “illegale”. I soldati non hanno mancato di confiscare anche banchi e sedie. Abu al Nawwar è tra le 46 comunità beduine che rischiano la rimozione forzata. A ben poco sono serviti gli allarmi lanciati da Ocha. Il mondo, a cominciare proprio da quello arabo, dimentica i palestinesi e i loro diritti. Le politiche israeliane nei Territori Occupati riscuotono scarsa attenzione mentre in altri Paesi del Medio oriente ogni giorno si registrano stragi, bombardamenti, attentati e combattimenti in cui muoiono decine se non centinaia di civili.

Il silenzio internazionale non è sceso soltanto sulle demolizioni di case palestinesi ma anche sul resto delle politiche di occupazione. Come l’uso della detenzione amministrativa, senza processo, che ha avuto una accelerazione dopo l’inizio dell’Intifada di Gerusalemme (uccisi almeno 180 palestinesi e quasi trenta israeliani). In prigione lo scorso 14 dicembre è finito anche Mohammad Abu Sakha, 23 anni, un componente della Scuola del Circo palestinese. Arrestato da soldati israeliani, al posto di blocco di Zaatara (Nablus), mentre andava a far visita ai suoi genitori a Jenin, di lui non si è saputo nulla per vari giorni. La Croce Rossa ha poi informato la famiglia che il giovane di trova nella prigione di Megiddo. Mohammad Abu Sakha ha iniziato a studiare alla Scuola Circo nel 2007 e nel 2011 è diventato uno degli artisti – fa il clown acrobatico – e il trainer di bambini con difficoltà di apprendimento: 30 dei più di 300 studenti della scuola. Amnesty International ha lanciato una campagna a sostegno di Abu Sakha in vista dell’appello che sarà all’attenzione dei giudici militari israeliani il 21 marzo. Dei 7.000 prigionieri politici attualmente in carcere in Israele, circa il 10% non è stato processato ed è in detenzione amministrativa. Contro questi “arresti preventivi” della durata di sei mesi, rinnovabili, il giornalista Mohammed al Qiq ha attuato tre mesi di sciopero della fame. Ha interrotto il digiuno appena una settimana fa dopo aver raggiunto un accordo con le autorità israeliane.