Tutto cominciò nel lontano 1947 in Cina quando il Reverendo Pierce donò i pochi dollari che gli restavano nelle tasche a una anziana che gli aveva raccontato la sua vita fatta di stenti. Quell’incontro segnò Pierce al punto da spingerlo a fondare una Ong cristiana, World Vision, per aiutare chi non ha nulla. Nata negli Usa oggi World Vision opera in 100 Paesi, Italia inclusa, con un budget che supera il miliardo di dollari. È un colosso dell’umanitario che impiega migliaia di persone. 150 delle quali in Terra Santa dove assiste decine di migliaia di palestinesi, soprattutto bambini. A Gaza – dove negli ultimi dieci anni ha investito 22 milioni di dollari – World Vision ha contribuito, dopo l’offensiva militare israeliana del 2014, a riabilitare oltre 1300 imprese agricole e 250 serre, a rendere di nuovo coltivabili più di 200 ettari di terra e ha riparato 36 km della rete di irrigazione. Secondo le autorità israeliane questa Ong non ha lavorato solo per i civili di Gaza, avrebbe invece destinato il 60% del suo budget al sostegno del movimento islamico Hamas, quindi del “terrorismo”. Un’accusa che ha fatto il giro del mondo e travolto World Vision. Germania e Australia hanno subito sospeso le donazioni ai progetti a Gaza dell’Ong cristiana. Ora rischiano di interrompersi programmi di assistenza sui quali contano decine di migliaia di palestinesi.

Sotto accusa è Mohammed Halabi, direttore a Gaza di World Vision, arrestato da Israele il 15 giugno mentre attraversava il valico di Erez con l’accusa di aver deviato nelle casse di Hamas di 50 milioni dollari. Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, sostiene che Halabi, un “infiltrato”, avrebbe creato uno schema per incanalare cibo, forniture mediche e attrezzature agricole verso presunti militanti di Hamas. Oltre a gonfiare i costi dei progetti allo scopo di raccogliere fondi per il movimento islamico che li avrebbe utilizzati anche per scavare gallerie sotterranee tra Gaza e Israele. La vicenda è stata riferita con ampio risalto da tutta la stampa israeliana. Quella vicina al governo Netanyahu ha letto nelle accuse contro Halabi la “prova” della collaborazione che le Ong e talvolta i governi occidentali darebbero inconsapevolmente al “terrorismo palestinese” mentre chiedono la fine del blocco israeliano di Gaza. Ha cantato vittoria anche il Centro Legale “Shurat Hadin”, una associazione di destra, che nel 2012 aveva accusato World Vision di fornire «aiuto finanziario ad un gruppo terroristico con sede a Gaza», ossia all’Unione dei Comitati di lavoro agricolo (Uawc) vicina al Fronte popolare per la liberazione della Palestina.

Il Presidente di World Vision International, Kevin Jenkins, ha assicurato l’adozione di misure «rapide e decisive» nel caso le accuse venissero provate. Ha però sottolineato che sino ad oggi lui le prove della colpevolezza di Halabi non le ha viste. E comunque i conti non tornano. «Il bilancio operativo di World Vision a Gaza negli ultimi dieci anni è stato di circa 22,5 milioni di dollari, una somma che non si concilia con i 50 milioni di dollari che sarebbero stati deviati», ha spiegato. Da parte sua l’avvocato di Halabi nega l’esistenza di una confessione e sottolinea che per settimane il suo assistito è stato interrogato e detenuto senza assistenza legale.

Affermare la colpevolezza o l’innocenza di Halabi sarà possibile solo quando i vertici di World Vision avranno modo di verificare la solidità delle prove contro di lui. Comunque vada la reputazione della Ong cristiana è stata offuscata dalle proteste di Israele contro il sostegno occidentale al «terrorismo». E la gravità delle accuse formulate contro Halabi ha fatto sorgere, a livello internazionale, dubbi sull’impegno di tutte le Ong straniere nella Striscia di Gaza. È interessante peraltro che dopo World Vision sia finita sotto accusa anche l’Onu responsabile, secondo Israele, di aver accolto un altro “infiltrato” di Hamas nell’agenzia Undp (il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo). Lo Shin Bet afferma che Waheed Bursh, 38 anni, un ingegnere arrestato nelle scorse settimane, avrebbe confessato di aver usato le risorse dell’Undp per costruire un molo per le forze navali di Hamas. Bursh avrebbe convinto i suoi manager a dare priorità alla ricostruzione delle case danneggiate dai bombardamenti israeliani di due anni fa in aree in cui vivevamo le famiglie di membri del movimento islamico.

Anche in questo caso si attendono le indagini interne di Undp. Tuttavia il dito puntato da Israele, nel giro di pochi giorni, contro due importanti attori dei programmi di assistenza umanitaria e di sviluppo a Gaza, ha subito innescato riflessi internazionali. Senza dimenticare che, sempre nei giorni scorsi, il governo Netanyahu ha annunciato, ripreso dai media di tutto il mondo, che avvierà una dura campagna finalizzata all’espulsione degli stranieri “sostenitori” del Bds, il movimento per il boicottaggio internazionale di Israele e delle sue colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Non pochi pensano che le accuse a World Vision e Undp abbiano anche il fine di colpire ai fianchi Hamas spingendo le Ong e le agenzie internazionali a ridurre gli aiuti alla popolazione civile che contribuiscono a garantire una relativa stabilità a Gaza, a vantaggio del movimento islamico al potere.