Sembrava fatta qualche giorno fa, quando i media israeliani avevano annunciato l’arresto dei coloni ebrei responsabili del rogo doloso della scorsa estate a Kfar Douma in cui sono morti Ali Dawabsha, 18 mesi, e, nelle settimane successive (per le ustioni gravissime) il padre Saad e la madre Reham. Invece il rinvio a giudizio degli assassini non è affatto sicuro. Le autorità frenano, prendono tempo. Secondo il ministro della sicurezza Gilad Erdan contro i “sospetti” – due dei quali, ha rivelato un sito israeliano pacifista, sono Elisha Odess e Hanoch Ganiram, giovani cresciuti in un ambiente ultranazionalista e religioso – non ci sarebbero prove definitive e schiaccianti. Gli investigatori le starebbero ancora cercando, quattro mesi dopo l’assassinio del bimbo e dei suoi genitori. Una cautela senza dubbio legata anche alle proteste dei coloni e della destra estrema che, attraverso l’organo d’informazione di riferimento, Arutz 7, denunciano una presunta “grave violazione” dei diritti degli arrestati.

 

E’ stata una doccia fredda per la famiglia Dawabsha, che ha ulteriormente persuaso i palestinesi, e non solo loro, dell’esistenza di una doppia giustizia nei Territori occupati: una implacabile e rapida applicata nei confronti dei palestinesi, un’altra lenta e incerta verso gli israeliani. Domenica scorsa, ad esempio, una corte militare ha condannato senza troppi riguardi una parlamentare palestinese ed esponente di punta del Fronte popolare (Fplp, sinistra marxista), Khalida Jarrar, a 15 mesi di prigione per aver appoggiato presunte “attività terroristiche”. Una condanna giunta al termine di quello che Human Rights Watch ha descritto come un caso «pieno di violazioni processuali». I legali della parlamentare parlano di una “vendetta” in risposta alla resistenza di Jarrar all’ordine di deportazione a Gerico che le autorità israeliane le avevano imposto prima dell’arresto e giunto in concomitanza con l’adesione della Palestina alla Corte Penale Internazionale (Cpi). Una tempistica che insospettisce: Jarrar ha fatto parte del comitato che ha preparato l’ingresso dei palestinesi nella Cpi, molto contestato da Israele. Ieri Malik Shahin, giovane attivista del partito di Khalida Jarrar, il Fronte Popolare, è stato ucciso da soldati israeliani che all’alba sono penetrati nel campo profughi di Dheishe, alle porte di Betlemme.

 

Nel caso Dawabsha sono serviti a poco l’intervento di Nickolay Mladenov, il coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, che qualche giorno fa aveva espresso forte frustrazione per l’atteggiamento delle autorità israeliane che per quattro mesi non avevano arrestato i responsabili del rogo di Kfar Douma¬ – pur conoscendoli (lo ha ammesso il ministro della difesa Moshe Yaalon) -, e le petizioni presentate alla Corte Suprema dal deputato palestinese israeliano Issawi Freji (Meretz) e dal gruppo parlamentare della Lista Unita Araba, affinchè si agisse subito contro i killer.

 

Al mancato rinvio a giudizio degli assassini si aggiunge la beffa del conto salato, circa 460 mila shekel (più o meno 110 mila euro), che l’ospedale israeliano Tel Hashomer di Tel Aviv ha presentato al ministero della sanità dell’Autorità nazionale palestinese per le cure prestate a Reham Dawabsha, deceduta, e a Ahmad Dawabsha, 4 anni, fratello di Ali, unico membro della famiglia scampato alla morte e rimasto gravemente ustionato. Dopo il rogo di Kfar Douma il coordinatore per gli affari civili nei Territori palestinesi occupati, Yoav Mordechai, aveva annunciato che le autorità israeliane avrebbero pagato le cure di Ahmad e di sua madre. Le cose non stanno così. E sebbene il premier Benyamin Netanyahu abbia reiterato la “tolleranza zero” nei confronti di ogni terrorismo, Ahmad non sarà risarcito come avviene in questi casi per i cittadini israeliani perchè non è un residente nello Stato ebraico.

 

«Questo bambino simboleggia la tragedia e le sofferenze che deve affrontare la popolazione palestinese sotto occupazione militare», ha detto al manifesto Steve Sosebee, presidente del Palestine Children’s Relief Fund (Pcrf), l’Ong che garantirà ad Ahmad Dawabsha la copertura dei costi della riabilitazione in un centro all’estero. «I palestinesi», ha aggiunto Sosebee, «sono soggetti a profonde ingiustizie, mentre i coloni israeliani spesso agiscono in un clima di completa impunità. Il conto presentato dall’ospedale Tel Hashomer, dopo un crimine tanto grave subito da una famiglia innocente, va oltre ogni umana comprensione».