«Hamas non può ammettere che la sua ala armata, la sua elitè militare sia stata infiltrata dai servizi segreti israeliani. Quell’ufficiale delle Brigate Ezzedin al Qassam è stato giustiziato perchè lavorava per Israele». La nostra fonte a Gaza – che ha chiesto di rimanere anonima – spiega così l’esecuzione, due giorni fa, di Mahmoud Eshtiwi, arrestato un anno fa per «condotta morale e comportamentale sbagliata». A Gaza pochi credono alla versione ufficiale fornita dal movimento islamico nel breve comunicato su twitter diffuso l’altro giorno. Così come appaiono poco credibili le motivazioni date dalla famiglia secondo la quale Eshtiwi sarebbe stato messo a morte per aver criticato un suo superiore. «Nulla di tutto ciò» ci dice la nostra fonte «Il caso di Eshtiwi è eccezionale perchè riguarda la più impenetrabile delle strutture militari non solo di Hamas ma di tutte le organizzazioni armate palestinesi. È un fatto eccezionale».

 

Hamas, che controlla Gaza dal 2007, negli ultimi anni ha eseguito le condanne a morte di diversi palestinesi accusati di aver passato informazioni ai servizi segreti israeliani, suscitando le proteste dei centri per i diritti umani. Quella di Eshtiwi è stata subito condannata da Human Rights Watch. I media locali e internazionali durante “Colonna di Nuvola” e “Margine Protettivo”, le (devastanti) offensive militari israeliane contro Gaza del 2012 e del 2014, mandarono in onda le immagini di fucilazioni e uccisioni di presunti collaborazionisti di Israele. Questo caso però è più grosso. Perchè Hamas deve fare i conti con un tradimento che sarebbe avvenuto nella sua struttura più affidale ed efficiente, tra i uomini più fedeli e motivati.

 

Le Brigate Ezzedin al Qassam non sono soltanto una forza militare ben addestrata e pronta al sacrificio – lo stesso esercito israeliano nel 2014 sottolineò la preparazione al combattimento raggiunta dal braccio armato di Hamas – perchè ha anche il potere di ultima parola su temi strategici come l’esito di trattative con Fatah o, dietro le quinte, con Israele e sullo “status futuro” di Gaza. Nell’agosto del 2014 non furono il capo politico di Hamas in esilio Khaled Mashaal e quello a Gaza Ismail Haniyeh ma il comandanto di Ezzedin al Qasam a dare via libera alla tregua con Israele negoziata dall’Egitto. Ecco perchè una talpa nell’elite militare di Hamas fa clamore, certo molto più di quella scoperta qualche settimana fa a Ramallah nell’ufficio del capo dei negoziatori dell’Olp, Saeb Erekat. Eshtiwi avrebbe addirittura indicato a Israele l’edificio dove nell’estate del 2014 si nascondeva Mohammed Deif, il leader storico di Ezzedin al Qassam. Israele bombardò il palazzo uccidendo la moglie e una figlia di Deif ma del comandante militare di Hamas non si è mai conosciuta la sorte, anche se è opinione diffusa che sia sfuggito alla morte.

 

L’esecuzione di Eshtiwi ha fatto passare in secondo piano i negoziati ripresi in Qatar per la riconciliazione tra Fatah e Hamas. Trattative che si svolgono in un clima di profondo scetticismo, visto che le due principali organizzazioni palestinesi da nove anni cercano di riannodare i rapporti ma la frattura resta insanabile. Nell’aprile di due anni fa le due parti annunciarono una “storica riconciliazione” e due mesi dopo diedero vita anche ad un governo di consenso nazionale palestinese – suscitando le ire di Israele – che però non ha mai esteso la sua autorità anche alla Striscia di Gaza, per ragioni poco chiare. Fatah accusa gli islamisti di non voler rinunciare al controllo esclusivo della Striscia. Hamas ribatte che i rivali non sono sinceramente interessati alla condizione di Gaza ma, al contrario, sarebbero a favore della chiusura della Striscia praticata da Israele ed Egitto perchè sperano nel crollo del movimento islamico. Ad accedere una timida speranza tra i palestinesi – che invocano la riconciliazione nazionale e la fine della spaccatura politica tra Cisgiordania e Gaza – è la mediazione del Qatar che starebbe esercitando pressioni fortissime su Fatah e Hamas per arrivare ad un accordo vero e applicabile. Per Doha risolvere la crisi interna palestinese significherebbe un successo di grande importanza nella competizione diplomatica e di consolidamento di aree di influenza che i qatarioti portano avanti con i cugini-rivali dell’Arabia saudita.