Addio all’Italicum, almeno nelle forme attuali, quelle con le quali è stato approvato dal Parlamento? Ci sono elementi per sospettare che possa andare così. La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha calendarizzato a sorpresa per settembre il dibattito sulla mozione di Sinistra italiana che chiede di anticipare la sentenza della Consulta, fissata per il 4 ottobre, sugli aspetti della legge a rischio di incostituzionalità: l’abnormità del premio di maggioranza e la limitata possibilità per gli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Sono precisamente i limiti, segnala Si, che avevano portato la Corte a bocciare il Porcellum.

Nel voto del Pd a favore della calendarizzazione Forza Italia legge un evidente segnale di retromarcia, ma il capogruppo dem Ettore Rosato smentisce: «Tutte le leggi si possono cambiare ma non con una mozione, che è stata inserita nel programma di settembre nella quota che spetta alle opposizioni. E’ uno stimolo che comprendiamo ma che non possiamo accettare perché parla di incostituzionalità».

Ci sono però altri elementi, intervenuti a raffica negli ultimi giorni, che sembrano indicano la scelta di rimettere mano alla legge: le pressioni sempre più forti interne a un Pd in cui, dopo la batosta elettorale, la minoranza ha acquisito qualche peso in più e in cui dubbi espliciti circolano anche nelle file della maggioranza; l’apertura del vicesegretario Lorenzo Guerini di alcuni giorni fa, che per la prima volta faceva trasparire la possibilità di assegnare il premio non più a una lista ma a una coalizione. Infine la convocazione di alcuni giornalisti da parte dello stesso premier, a Bruxelles, per una comunicazione «informale e non virgolettabile» che di fatto annunciava la disponibilità a modificare la legge.

In realtà c’è un motivo in più per ritenere possibile la retromarcia del presidente del consiglio. Già da parecchie settimane, in effetti, Renzi aveva annunciato agli alti ufficiali del suo partito l’intenzione di cambiare l’Italicum. Però non subito: nella primavera del 2017. Riteneva infatti che mostrarsi rigido sulla legge lo avrebbe aiutato a vincere il referendum di ottobre, mentre un atteggiamento “cedevole” sarebbe stato interpretato dagli elettori come imperdonabile debolezza. Le elezioni comunali gli hanno rivelato nella maniera più dolorosa quanto sbagliato fosse quel calcolo. Se il lanciafiamme non funziona, perché non provare con l’estintore? Rimaneggiare la legge stempererebbe le polemiche interne, soprattutto se venissero ritoccate anche le preferenze e se, come è probabile, venisse sbloccato subito dopo il dibattito sulla legge per l’elezione dei senatori. Verrebbe inoltre sottratto un argomento fortissimo ai critici della riforma, che hanno sempre bersagliato il combinato disposto tra modifica costituzionale e Italicum.

Però le controindicazioni non mancano, perché il referendum è importante ma le elezioni, quando arriveranno, lo sono anche di più. Cambiare l’Italicum sarebbe probabilmente utile ai fini referendari, poi però Renzi sarebbe costretto ad allearsi con la sinistra, perdendo così i voti dell’elettorato di centrodestra, e forse con Alfano e Verdini, che rappresenterebbero una pietra al collo tale da affondarlo nelle urne. Per questo chi lo conosce e lo ha sentito anche negli ultimi giorni è convinto che alla fine farà quadrato intorno alla legge così come votata dalle Camere.

Cosa voglia fare Renzi con la legge elettorale lo si capirà presto. Si è invece già capito, nella conferenza stampa di ieri a Bruxelles, che la strategia propagandistica sul referendum è cambiata. Con l’abituale faccia di bronzo il premier, dopo aver trasformato il referendum in plebiscito su se stesso, ha accusato i critici della riforma di parlare solo di lui e non del merito della riforma. Vuol dire che, pur confermando la decisione di dimettersi in caso di sconfitta nonostante i pareri contrari a partire da quello di Dario Franceschini, nei prossimi mesi Renzi farà il possibile per spersonalizzare quella prova che lui stesso aveva voluto personalizzare. Sarà un voto «contro i politici che difendono i propri privilegi», e soprattutto «per la stabilità», dunque per l’Europa. Perché a Renzi tutto si può dire, ma non che sia lento nel cogliere i segnali e adeguarsi di corsa.