Contrordine cittadini, per i 5 stelle l’Italicum è una brutta legge, anzi «fa schifo»: ma va bene così. E stavolta non lo dice un antipatizzante su twitter rassegnato a beccarsi gli insulti dei fan del comico. Stavolta a dirlo è il candidato premier in pectore Luigi Di Maio. Alla notizia della «disponibilità» di Renzi a cambiare l’Italicum, messa in circolo dallo stesso staff del premier in questi giorni con la possibilità che diventi ufficiale lunedì alla direzione Pd, ieri il vicepresidente della Camera ha replica con durezza: «Hanno parlato per tre mesi di referendum, Olimpiadi e direzioni di partito. E così hanno perso le elezioni a Roma e Torino. Non contenti, il giorno dopo la sconfitta, hanno iniziato a parlare di modifiche alla legge elettorale, ovvero di come spartirsi le poltrone alle prossime elezioni politiche», scrive su facebook, e conclude: «La Camera ci costa 100.000 euro all’ora (avete letto bene) e il Pd vuole spendere questi soldi per cambiare l’Italicum. Facciano pure ma quando vorranno tornare sulla terra, gli mostreremo quali sono le priorità per l’Italia». L’attacco dei 5 stelle è coordinato e a due punte. Anche Grillo dal blog tuona: «Ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere. Un baro da due soldi e con la coda tra le gambe».

Dal Pd si scatena la contraerea. «Pagliacci, canne al vento», «I veri bari sono quelli del M5S. Prima giocano con l’Europa e votano con Farage e ora per opportunismo difendono l’Italicum dopo che per mesi lo hanno attaccato». Ma quelli di Pd e di 5 stelle sono due nervosismi allo specchio.

Da una parte c’è Renzi, che dopo la batosta delle amministrative e dopo il malaugurio del Brexit ora teme il plebiscito contro di lui nel referendum di ottobre. Quindi cambia strategia: lo «rallenta» forse fino a dicembre dopo la legge di stabilità utilizzando le possibilità tecniche che il governo ha. Lo «spersonalizza» accusando gli avversari di parlare solo di lui. E fa balenare la carota di una modifica del premio di maggioranza all’Italicum, dalla lista alla coalizione. Dall’altra parte ci sono i grillini: da sempre sanno che il ballottaggio dell’Italicum li favorisce, e invece i il premio alla coalizione li danneggia in quanto «incoalizzabili». Quindi per loro cambiare l’Italicum è vietato, o non è «una priorità», come sentenzia Di Maio prendendo in contropiede i suoi compagni affaccendati a giurare che M5S darà battaglia contro la legge elettorale e per il no alla riforma costituzionale. Come aveva fatto il deputato Danilo Toninelli ieri mattina a Roma in un confronto fra comitati «del sì, del no e per la libertà di voto».

La «mossa» di Renzi è contro i 5 stelle e consiglia di non procedere all’abbattimento della riforma costituzionale che farebbe di fatto franare anche l’Italicum. E mira insieme a convincere al sì le tante sfumature di partiti e partitini in affanno, da Forza Italia agli alfaniani ai verdiniani, alla stessa sinistra Pd e anche ai cattolici di Dario Franceschini, tutti timorosi di finire spazzati via o da un plebiscito anti-premier o, in caso contrario, dal voto politico.

Discorso a parte va fatto per Sinistra italiana: sono stati i deputati di Si a scatenare la bagarre sull’Italicum ottenendo la calendarizzazione a settembre di una mozione sulla costituzionalità della legge, anticipando la pronuncia della Consulta, che si riunisce il 4 ottobre per esaminare i ricorsi. Ma il solo fatto di non aver alzato un muro, da parte del Pd è un segnale. Anche se l’ipotesi di un premio alla coalizione per i vendoliani sarebbe «solo un’operazione cosmetica», come si affretta a dire Alfredo D’Attorre, tanto più che «non vogliamo nessun ritorno al passato, sconfiggere il renzismo non significherà tornare al centrosinistra delle compatibilità europee caro a Andreatta». Meglio, molto meglio non porsi neanche il problema delle coalizioni prima del referendum. Per la casa vendoliana sarebbe un grosso guaio, farebbe esplodere le contraddizioni fra quelli che escludono senza se e senza ma un’alleanza politica con il Pd e quelli che invece sperano che Renzi a ottobre esca di scena riaprendo così i giochi delle alleanze.

Ultimo ma non ultimo, il premio di maggioranza alla coalizione, che ieri anche Pier Luigi Bersani ha definito «un palliativo» se preso da solo, non cambierebbe nulla al «popolo del no» al referendum preoccupato dell’«incrocio pericoloso» fra riforma costituzionale e impianto complessivo dell’Italicum. E tanto più non cambierebbe nulla anche ai «terzisti» che chiedono lo «spacchettamento» dei quesiti referendari. Come i radicali italiani di Riccardo Magi, che raccolgono disperatamente le firme per porre la questione alla Cassazione. Avendo però incassato il no dei due comitati opposti, e pure quello dei 5 stelle.