Con il deposito delle ultime memorie difensive – ieri sono scaduti i termini – è adesso completo il quadro che tra dieci giorni avranno di fronte i giudici della Corte costituzionale. Per l’attesa udienza pubblica di martedì 24 gennaio il presidente Paolo Grossi ha preso una decisione senza precedenti, sgombrando il tavolo da tutte le altre cause. Si parlerà solo del destino dell’Italicum.
Sono cinque i tribunali che hanno promosso il giudizio di legittimità costituzionale sulla legge elettorale: Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova. E sono sette i punti critici della legge elettorale nel complesso evidenziati dai giudici ordinari. Solo due sono condivisi da tutti, sono cioè presenti in tutte le cinque ordinanze di rimessione; di conseguenza hanno più probabilità di essere accolti. Si tratta del ballottaggio e delle candidature multiple dei capilista.

Nel primo caso è messa in dubbio la legittimità costituzionale del premio di maggioranza assegnato alla lista vincitrice nel confronto a due, senza che sia stata prevista una soglia minima di accesso al secondo turno. In questo modo il premio di maggioranza è teoricamente senza limiti. Se venisse accolto questo ricorso, la Corte (non potendo fissare arbitrariamente una soglia di accesso al ballottaggio) cancellerebbe del tutto il secondo turno. Si salverebbe così il premio di maggioranza, ma solo per la lista che dovesse riuscire (eventualità che per un singolo partito appare allo stato irrealizzabile) a conquistare il 40% dei voti validi nel primo – e unico – turno. Se venisse accolto il ricorso sulle pluricandidature – il cui fondamento è che il cittadino viene privato del diritto di scegliere, dal momento che è l’eletto a optare per il suo collegio successivamente allo spoglio – la Corte potrebbe salvare i capilista bloccati, magari consentendo la candidatura in un solo collegio; ma potrebbe anche farli saltare del tutto.

Il tribunale di Messina e il tribunale di Genova hanno messo in dubbio anche la costituzionalità del premio di maggioranza al primo turno, ed è questo l’unico altro punto critico dell’Italicum evidenziato da due giudici di primo grado. Gli altri punti critici riguardano tre incongruenze dell’Italicum evidenziate solo dal tribunale di Genova (ad esempio, il caso in cui al primo turno non uno ma due partiti raggiungano il 40%), e un problema di fondo sottolineato solo da Messina: la differenza nelle soglie di accesso tra la legge elettorale della camera e quella del senato.
Un problema, quest’ultimo, che doveva essere risolto dall’approvazione della riforma costituzionale, ma che con la vittoria del No è rimasto intatto. E che resterebbe anche nel caso in cui, cancellando il ballottaggio, la Corte costituzionale dovesse avvicinare l’Italicum al sistema in vigore per il senato, il cosiddetto Consultellum. La soglia di sbarramento prevista per la camera è unica, il 3%, quelle previste per il senato sono tre (calcolate peraltro su base regionale): il 20% per le coalizioni, l’8% per i partiti non coalizzati e il 3% per i partiti all’interno di coalizioni che superano lo sbarramento). Questa differenza rende più che probabile una composizione non omogenea delle due camere, con le immaginabili e problematiche ricadute sulla formazione del governo. Per superarla c’è solo la strada di un’altra legge elettorale, da approvare in parlamento dopo la decisione della Corte.

A meno che la Consulta, a sorpresa, non decidesse di accogliere la richiesta formulata dall’avvocato Besostri nella memoria depositata per il procedimento aperto dal tribunale di Genova. Quella cioè di auto-rimettersi una questione generale sull’Italicum. La legge infatti è stata approvato alla camera con la fiducia, ma i regolamenti parlamentati e la Costituzione sembrano escludere questa possibilità. La cancellazione di tutto l’Italicum riporterebbe in vita, per la camera, la stessa legge elettorale in vigore per il senato.
È un’ipotesi remota ma si discuterà anche di questa nell’udienza del 24. Udienza affollata, vista la folta pattuglia di difensori e avvocati costituiti «ad adiuvandum». La Corte ha fatto sapere ai legali che gradirebbe un solo intervento per ricorso, al massimo due per i casi più complessi (Messina e Genova). In difesa dell’Italicum e per conto di palazzo Chigi parlerà solo l’avvocato dello stato Nunziata. Nella sua memoria si è schierato contro tutti i ricorsi con l’argomento che, non essendo stata ancora applicata, la legge elettorale non può aver leso i diritti di nessuno. Davanti alla Corte il governo non è rimasto neutrale.