Matteo Renzi maltratta la minoranza Pd come poche volte in passato – e sì che tenero non è mai stato – poi la blandisce con una proposta di mediazione. Che è l’ultima, avvertono i suoi pretoriani presentando l’offerta come un dono prezioso. In realtà è un imbroglio: sia la legge per l’elezione dei senatori, sia soprattutto le modifiche alla legge per l’elezione dei deputati – l’Italicum – sono rimandate a dopo il referendum. Renzi lo dice chiaramente nell’introduzione: la proposta è quella gracilissima di una commissione di studio. Ma anche questa «ovviamente non possiamo farla durante la campagna elettorale. La faremo dopo il referendum, entro la fine dell’anno». Franceschini, cogliendo qualche tentennamento nella minoranza, mischia un po’ le carte: cominciamo subito, troviamo un’intesa in tempi brevi sulle modifiche all’Italicum. Renzi però anche nelle conclusioni è chiarissimo: «Non basta trovare la quadra nel Pd. Bisogna andare a vedere cosa pensano gli altri partiti, si potrà fare nelle due settimane successive al referendum».

«È solo un passo», dice Gianni Cuperlo. «Non basta», dice Roberto Speranza. Ma la minoranza, bersaniani e cuperliani, alla fine non partecipa al voto, come tradizione. Non vota contro e in questo modo potrà partecipare alla commissione per le modifiche all’Italicum. Ci saranno quattro esponenti della maggioranza renziana (Guerini, Orfini e i due capigruppo) più uno della minoranza «scelto da loro. Ma possiamo fare anche due non c’è problema». Dovranno andare a sentire gli altri partiti «anche il M5S», fare un po’ di ammuina. Nessun mandato preciso, nessuna proposta del segretario del partito che quando ha voluto imporre l’Italicum ha messo la fiducia. Al contrario mandato ampio a discutere di tutto: «Ballottaggio sì o no, premio di maggioranza sì o no, collegi, liste bloccate o preferenze». In pratica si potrebbe ricominciare da zero. E lo si dovrà fare necessariamente solo se vincesse il no. Intanto Bersani e Speranza devono decidere come votare. Anzi, hanno già deciso, voteranno no. Renzi ha fatto la sua mossa per togliergli «l’alibi», parola scelta per mortificare ulteriormente la posizione della minoranza.

L’altra offerta di «mediazione» è altrettanto ingannevole. Riguarda il sistema di elezioni dei senatori, che secondo la riforma costituzionale è così complicato da essere quasi impossibile. Si prevede insieme che i nuovi senatori non siano eletti dai cittadini ma dai consiglieri regionali, ma anche che siano scelti secondo le indicazioni dei cittadini. Fu questa la (confusa) mediazione che convinse la minoranza Pd a votare a favore della riforma (voti determinanti al senato), e per questo 24 senatori della minoranza (primo firmatario Fornaro) hanno presentato da nove mesi una proposta che prevede due schede per i cittadini in occasione del rinnovo dei consigli regionali. Ignorata fin qui, ma adesso Renzi dice che è pronto a prenderla come testo base, ovviamente dopo il referendum. Perché, spiega – e questa volta è vero – la presidenza del senato non ammette che si discuta una legge di attuazione di una modifica costituzionale ancora eventuale. Solo che nulla avrebbe impedito alla maggioranza del Pd, se veramente ci avesse creduto, di farla sua già da tempo o di cercare un’intesa con gli alleati. La verità è che con questa riforma trovare un sistema di elezione dei senatori che tenga conto della volontà dei cittadini sembra un’impresa impossibile; è destinato a fare strada il sistema «provvisorio» che affida la scelta esclusivamente ai consiglieri regionali.

Al punto in cui siamo, Renzi non poteva sperare di conquistare il Sì di Bersani e dei suoi – lo stesso Sì che hanno detto, ha ragione su questo il segretario, per tre volte alla camera e tre volte al senato, salvo rarissime eccezioni. Riuscirà però a dare la sensazione che dell’Italicum si può discutere, discutere soltanto fino al referendum. Dopo è un altro mondo. Eppure Renzi ha mostrato i segni di qualche preoccupazione. Non solo nel body language, e non solo perché ha eccezionalmente letto un testo invece di parlare a braccio. Ma anche perché ha caricato al massimo sui rischi di un’eventuale vittoria del No, mettendola al pari di una vittoria di Trump, della Brexit o di un successo di Orban. Poi ha attaccato i suoi avversari interni: «Polemiche autoreferenziali», «mancanza di coerenza», «non ho vissuto un solo giorno senza attacchi». E ha paventato, in caso di sconfitta, la «fine del Pd».

E alla fine risulta più duro di Speranza e probabilmente anche di Cuperlo l’intervento del ministro Orlando, leader dei giovani turchi alla ricerca di una terza via tra maggioranza e opposizione. «Il segretario non deve usare l’argomento che occuparsi della legge elettorale è parlar d’altro, mi aspettavo aperture più consistenti, sull’Italicum è giusto dire che si è cambiato idea perché allora il tripolarismo non era così consolidato». Nella replica, le uniche precisazioni di Renzi sono per lui: «Non è vero, il tripolarismo c’era anche quando abbiamo fatto l’Italicum. Il ballottaggio lo abbiamo previsto per questo». Perché al segretario l’Italicum piace. Adesso vuole solo far finta di cambiarlo.