Davvero solo la Consulta può togliere le castagne dal fuoco del governo e salvare l’incauto apprendista di Rignano? Si chiacchiera in modo troppo maldestro sulle questioni costituzionali. E si ritiene che sia di poco conto, dal punto di vista politico e istituzionale, un nuovo pronunciamento della Corte costituzionale a segnalare elementi di illegittimità di sicuro presenti nella legge elettorale. Il carattere grottesco del chiacchiericcio quotidiano raggiunge il culmine con l’assunto che, proprio rilevando l’incostituzionalità dell’Italicum, la Consulta dà un bel soccorso al governo. Che questo aiuto indiretto sia in effetti l’auspicio di antiche cariche istituzionali, di esponenti del governo ecc. non cambia la sostanza del problema e semmai aggrava la percezione della gravità del decadimento della cultura politica.
Il dato politico e istituzionale cui è difficile sfuggire è questo. Il capo del governo ha avuto il mandato di scrivere la nuova legge elettorale per rimediare a una grave crisi di sistema apertasi con la dichiarazione dell’incostituzionalità del Porcellum. Egli non può in alcun modo gioire se la Consulta censura la manutenzione sulla tecnica elettorale imposta manu militare emulando nelle procedure illiberali gli architetti della legge truffa.

In una democrazia decente un parlamento delegittimato nella sua composizione che non rimuove le condizioni formali del proprio originario deficit, e anzi sforna una tecnica elettorale dai redivivi profili di incostituzionalità, aprirebbe una devastante crisi di regime. Solo in Italia da una tragedia costituzionale di tale entità antichi custodi e novelli statisti traggono motivo di esultanza.
Una bocciatura sia pure parziale della Consulta non può cadere indifferente sul governo. Renzi ha posto più volte la fiducia per accelerare l’approvazione della sua riforma, l’ha dipinta come una conquista straordinaria, che tutti al mondo invidiano e avrebbero presto imitato per il suo tocco di genialità nel risolvere l’enigma della governabilità al calar della sera.
Nelle fasi più cruente dello scontro, Renzi dichiarava: «Non c’è cosa più democratica di mettere la fiducia: se passa, il governo va avanti altrimenti va a casa. Cosa c’è di più democratico di chi rischia per le proprie idee. È tempo del coraggio non di rimanere attaccati alla poltrona». Sperare che un ritocco sollecitato dalla Consulta possa autorizzare a tornare indietro, per la semplice paura che vinca il M5S, è impossibile e costoso. Sarebbe l’equivalente di una crisi di regime, con pratiche devianti che sono più da sistemi precari come la Tunisia o l’Egitto che non da democrazia europea, seppur malata.
Il governo che ha già forzato troppo su regole essenziali della repubblica deve solo aspettare la sentenza della Consulta e se sarà negativa, come ragione giuridica vorrebbe, dovrà prendere la responsabilità politica dell’accaduto. Un esecutivo nato nell’emergenza che ha imposto con prove inaudite di forza una legge elettorale ritenuta incostituzionale non ha l’autorevolezza politica e la legittimità etica per restare al potere un giorno in più.

Una legislatura aggredita dalla grave macchia della illegittimità originaria della composizione dei suoi organi di rappresentanza, e che non sana la sua ferita iniziale, ma anzi reitera la manipolazione illiberale delle regole, deve estinguersi e con un provvedimento condiviso ripristinare il quadro minimale della legalità costituzionale. Altro che aiutino del giudice delle leggi che spinge Renzi a una nuova manomissione.