Basmane è un vecchio quartiere residenziale di Smirne, la terza città turca per dimensioni, bagnata dalle acque del Mare Egeo. Qui, tra i vicoli scoscesi in cui si susseguono barbieri, ristoranti e fumose sale da tè, a un centinaio di metri dal capolinea ferroviario e dalla locale stazione di polizia, si trova il centro nodale del traffico di esseri umani diretti alle vicine isole di Lesbo e Chios, quindi in Europa.

Per rendere l’idea, Basmane è simile a una borsa finanziaria, ma al posto di titoli e azioni viene negoziato il valore della vita umana. La domanda è composta da decine, centinaia di migliaia di rifugiati, soprattutto siriani, in fuga da guerre e persecuzioni, che vogliono “passare” dall’altra parte.

Pacchetti tutto incluso

L’offerta è nelle mani di trafficanti in grado di fornire pacchetti all inclusive, vale a dire protezione, trasporti interni, vitto, alloggio, infine un pass verso le isole egee. «Per l’attraversata su gommone il prezzo varia dagli 800 ai 1600 euro a seconda della stagione», spiega Jameh, 31 anni ex dipendente delle Nazioni unite a Damasco, incontrato in una tavola calda gestita da siriani, al cui esterno campeggia un’insegna rossa in arabo. Nella zona vivono migliaia di siriani, «per gli esercizi come il mio è una grande opportunità» sussurra il titolare turco.

Jameh aveva un lavoro e una posizione nella capitale siriana, ma tutto è venuto meno con la guerra civile, cui è seguita la chiamata alle armi nell’esercito di Bashar al-Assad, da lui disertata: «Non potevo accettare di combattere e puntare le armi contro un essere umano». Ora la prospettiva per il traditore del regime è un lavoro in nero e sottopagato a Istanbul, dove a breve si trasferirà con la moglie, perché «da quelle parti è più facile, ci sono più fabbriche».

Diversa la prospettiva per quattro giovani, anche loro siriani, incontrati su Fevzi Pasha boulevard, il lungo viale che collega le ombre di Basmane al luccicante kordon, il lungomare costellato di locali alla moda. Portano borse da calcio riempite con i pochi averi, uno di loro regge sulla testa un sacco della spazzatura chiuso con cura per non bagnare l’interno. Sono diretti alla piazza della stazione ferroviaria, ai ristoranti in cui si consuma l’ultimo pasto prima di salire su un furgone diretto verso le cittadine costiere.

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Profughi siriani tratti in salvo nell’Egeo dalla Guardia costiera turca (LaPresse)

 

Malgrado l’accordo Ue-Turchia, il business degli attraversamenti non è stato decapitato, ma solo rallentato. All’indomani del 20 marzo, giorno di entrata in vigore del deal, qualcuno ha commentato con ottimismo l’azzeramento improvviso degli attraversamenti. Colpa della lontananza, o questione di pochi rudimenti in materia di navigazione, ma non serve essere gente di mare per capire che il vento della scorsa settimana avrebbe reso impossibile ogni tentativo di passaggio.

Ad ogni modo, se sulla costa tira buona aria per la politica, i ragazzi di Fevzi Pasha suggeriscono la ripresa dei passaggi, al pari del meteo in miglioramento, dei trafficanti alla ricerca di clienti, e dei giubbotti di salvataggio arancioni, ancora in bella mostra all’esterno dei negozi.

Poi ci sono loro, gli habitué della “borsa” di Izmir, commercianti, pensionati, disoccupati che negli ultimi anni hanno visto crescere sotto i loro occhi un business valutato tra i 3 e i 6 miliardi di dollari. «Non si possono fermare, ci sono troppi soldi in ballo», assicurano uno dopo l’altro.

Nell’area residenziale aggrappata sulle pendici del Monte Pagus, sopra Basmane, decine di migliaia di siriani vivono stipati in vecchie case e appartamenti sfitti da anni, pagati quanto un loft con vista sull’Egeo. «Le case si riconoscono dalle antenne satellitari installate, sono quelli che scelgono di rimanere, per ora», spiega un fruttivendolo indicando i tetti nei paraggi. Di giorno questi vicoli restano deserti. «I siriani escono dopo il tramonto, a migliaia» assicura Fuat Gurgun, turco-albanese con un passato in Italia, responsabile di una pelletteria nei paraggi. Rifugiati e turchi qui condividono povertà e degrado. «Spesso in una famiglia di 6-8 persone c’è uno solo che lavora, in nero e sottopagato per giunta», spiega Chris Dowling, 28enne di Venezia, in Turchia dal 2014 e da tre mesi volontario al Kapilar, organizzazione impegnata nell’integrazione delle minoranze curde del Sudest, dei Rom e della comunità siriana stanziale.

Malgrado il governo turco stia favorendo il rilascio ai siriani del kimlik, carta di identità che riconosce lo status di ospite permanente e l’accesso a servizi e lavoro, i rifugiati continuano ad essere sfruttati. «Lavorano in nero, 12 ore al giorno per 6 giorni la settimana, soprattutto nel comparto tessile – continua il volontario – ma percepiscono poco più di 800 lire turche al mese, rispetto al salario minimo di 1300 lire». Poco o nulla se 400 lire vanno per l’affitto di un seminterrato ammuffito e col resto devono mangiare in 6.

Peggio di così…

Le cose però possono andare anche peggio. Diverse ragazze siriane sono state costrette a vendersi per strada, a prezzi ben più bassi delle tariffe imposte nei bordelli funzionanti a lato della ferrovia. Una scelta estrema, ma necessaria per raccogliere la somma con cui pagare la tratta sull’Egeo. Altri prestano servizio per i trafficanti, come procacciatori di clienti a commissione. C’è poi chi arriva addirittura a vendere un rene nel mercato nero degli organi. Strada scelta nei mesi scorsi da un padre di famiglia, per garantire ai suoi un posto in gommone. L’uomo è poi stato medicato da un medico tedesco dopo lo sbarco a Chios.

Malgrado a Basmane tutto indichi la ripresa degli attraversamenti malgrado l’accordo di Bruxelles, servirà tempo per attribuire eventuali colpe e meriti. Di concreto c’è stato l’aumento delle forze di polizia schierate lungo la costa, al pari delle imbarcazioni turche e greche di ronda sulle acque dell’Egeo. Quindi prudenza d’obbligo per i trafficanti, ma il restyling del business è già chiaro: tratte più lunghe (Italia e costa ateniese), più costose e pericolose, su imbarcazioni più grandi. Del resto il mercato esiste, e a pagare il conto sono sempre gli stessi, rifugiati e migranti.