Al netto delle cessazioni, i nuovi contratti a tempo indeterminato continuano ad aumentare: +48 mila ad aprile. È normale, considerata la pioggia di denaro pubblico che ha investito le imprese: sgravi contributivi fino a 8.060 euro annui per tre anni, ma anche per il «contratto a tutele crescenti» che abolisce l’articolo 18 per i neo-assunti e prevede un indennizzo al posto del reintegro in caso di licenziamento illegittimo per i lavoratori dipendenti. Il dato è stato ricavato ieri dal sistema informativo delle comunicazioni obbligatorie aziendali del ministero del Lavoro. La natura di questi rapporti di lavoro è, in maggioranza, precaria e a termine: sul saldo positivo di 210.544 unità bisogna distinguere i 48.536 a tempo indeterminato, poi le 35.883 trasformazioni di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato, contro le 19.144 dell’anno scorso. Un terzo dei contratti è dunque a tempo determinato, +127mila. In generale, ad aprile si sono registrati 756.926 contratti di lavoro complessivi, a fronte di 546.382 cessazioni. Nei primi quattro mesi dell’anno i contratti a tempo determinato sono 475.273, poi ci sono 18.443 contratti di apprendistato, 38.632 di collaborazione, 53.063 forme di lavoro classificate come «altro»: contratti di inserimento lavorativo, intermittenti e interinali, rapporti di lavoro autonomo nello spettacolo. L’occupazione «fissa» non aumenta dunque. Per fare un bilancio attendibile, rispetto alle ambizioni del governo Renzi che parla di 800 mila occupati, si dovrà attendere tuttavia il prossimo autunno, quando cioè scadranno i «bonus» elargiti alle imprese. «Questi dati sostanzialmente confermano un aumento dei contratti stabili e una riduzione di quelli precari. È una buona notizia perché l’obiettivo del governo è fare in modo che il contratto a tempo indeterminato torni ad essere il modo normale di assunzione», ha commentato il ministro, Giuliano Poletti. Domani il governo dovrebbe presentare a sindacati e imprese il decreto attuativo del Jobs Act sugli ammortizzatori sociali. Tra le ipotesi, c’è l’interdizione alla cassa integrazione in caso di cessazione definitiva dell’azienda, Cig per imprese non decotte, taglio della durata massima della Cig da 36 a 24 mesi ma con l’introduzione di un «bonus» . Scettica Camusso (Cgil): «Temo una delusione. Le altre volte sono venuti senza proposte e senza dirci il testo del decreto. Mi auguro che almeno questa volta il tema dell’universalità sia il tema al quale ci si rivolge».