Il presidente della commissione europea Jean Claude Juncker, nel corso della sua visita ad Atee, è stato molto chiaro: «Non sono amico dei licenziamenti di massa. Nella trattativa sulle leggi per il lavoro si dovrà tenere specificamente conto della realtà greca e la legislazione dovrà essere adeguata alle migliori esperienze», ha detto rispondendo ai giornalisti.

L’argomento è centrale e particolarmente importante.

In autunno, il governo greco dovrà affrontare un nuovo round negoziale con i creditori, tutto incentrato sulla legislazione per l’occupazione e il Fondo Monetario Internazionale già preme per impedire il ritorno ai contratti collettivi di lavoro e imporre i «licenziamenti liberi», senza alcun limite.

Alexis Tsipras sa bene che si tratta di una battaglia decisiva ed è per questo che al termine del suo incontro con il presidente della Commissione ha voluto sottolineare che «lo sviluppo non si può basare sulla disintegrazione dei diritti del lavoro», ricordando anche che Juncker, già dallo scorso anno, si era posto a favore del ritorno in vigore della contrattazione collettiva.

Molti osservatori, ad Atene, hanno visto in questa apertura di Juncker un seppur parziale cambiamento di rotta verso un primo, timido, contrasto del predominio neoliberista sui diritti dei cittadini e le prerogative della politica. Toccherà constatare, ora, se si tratta di una «conversione momentanea»- anche a causa delle paure suscitate dal referendum britannico- o di una posizione più netta, che potrà essere portata avanti e difesa in modo vigoroso.

Nel frattempo, il premier greco ha fatto sapere che il suo paese ha fatto domanda per la realizzazione di 42 opere pubbliche, per un costo complessivo di 5,4 miliardi di euro, le quali dovrebbero, se approvate, essere finanziate proprio con i fondi del Piano Juncker.

Tuttavia nel suo discorso alla Confindustria greca il presidente della Commissione ha anche insistito sull’assoluto bisogno che il paese rispetti gli impegni presi, applicando gli accordi firmati nell’ultimo anno. «Forse è l’ultima occasione perché possa essere fatto ciò che è positivo per la Grecia», ha ribadito, rivolgendosi alla platea di industriali.

Il problema, però, è che gli accordi imposti alla Grecia hanno creato una pressione fiscale insostenibile: a fine mese scade il termine per la dichiarazione dei redditi e gran parte dei cittadini si trova in forte difficoltà, non avendo più soldi per far fronte ai propri obblighi fiscali. Tsipras ne è cosciente e nei giorni scorsi ha lanciato la campagna per uno «sviluppo giusto» che, secondo il leader di Syriza, dovrà avere come punto centrale la lotta alla disoccupazione, la quale supera ancora il 24%.

Il primo ministro greco ha posto come obiettivo il 2021, anno entro il quale, secondo il piano strategico del governo, proprio il tasso di disoccupazione dovrebbe essere diminuito del 50%. «Dal 2009 fino al 2014 gli investimenti privati sono calati del 67% e il nostro governo sta compiendo ogni possibile sforzo per invertire questa tendenza. Insistiamo, tuttavia, anche sul ruolo fondamentale degli investimenti pubblici», ha detto Alexis Tsipras.

In Europa sembrano aver compreso in molti, ormai, che insistere sulla ricetta dell’austerità, a chiaro discapito della coesione sociale, porta sempre in un vicolo cieco. E il governo di Syriza spera che questa constatazione possa aiutarlo nella richiesta di maggiore sviluppo e investimenti, di una forte soluzione sul debito nel 2018 e di un piano coraggioso sullo stato sociale.

Bisognerà vedere quanto aiuto arriverà dai principali alleati europei, dal momento che tanto François Hollande, quanto Matteo Renzi, si presentano alquanto indeboliti. Vedremo se decideranno di dare una mano comunque, con maggior vigore, a chi chiede più Europa e ovviamente più diritti per i cittadini.