Strada in salita per la legge di Bilancio italiana: l’altolà arriva dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, secondo cui il nostro Paese avrebbe già sostanzialmente fatto ricorso a tutta la flessibilità concessa dalle regole dell’Unione. «Nel Patto di stabilità, che non deve essere un patto di flessibilità – ha detto intervenendo davanti all’assemblea plenaria del Cese, il Comitato economico e sociale europeo – abbiamo già introdotto molti elementi di flessibilità combattendo contro chi sapete» e senza i quali elementi «l’Italia quest’anno avrebbe potuto spendere 19 miliardi di meno». «Abbiamo introdotto la clausola degli investimenti e l’Italia è l’unica che ne beneficia», ha aggiunto quindi il Presidente.

In serata ha risposto il presidente del consiglio Matteo Renzi: «La flessibilità non c’era nei trattati europei, Juncker ha legato il suo programma agli investimenti in flessibilità, devo dire che è stato di parola e noi l’abbiamo utilizzata – ha spiegato il premier – Noi rispettiamo le regole ma le regole Ue ci dicono che in presenza di eventi eccezionali si può utilizzare un margine diverso. Se devo essere bacchettato perché devo mettere a posto le scuole mi faccio bacchettare ma non credo avverrà».

Certo va ricordato che le regole Ue già prevedono che le spese di rimessa in sesto di un territorio dopo un sisma possano essere scorporate dal deficit: su questo punto non c’è alcuna trattativa da intavolare, la possibilità scatta automaticamente. Diverso è se si parla di programmazione antisismica, cioè gli interventi contenuti nel piano Casa Italia, perlomeno al momento in cui fu ipotizzato (a caldo dopo il terremoto di Amatrice, oggi non si sa bene che fine abbia fatto).

Secondo la Comunicazione sulla flessibilità del Patto di stabilità voluta da Juncker nel gennaio 2015 sono tre le clausole di flessibilità che un Paese può chiedere: la prima tiene conto del ciclo economico, la seconda delle riforme strutturali programmate, la terza degli investimenti. L’Italia ha già beneficiato di tutte e tre le clausole nel corso del 2015-16, ottenendo anche margini aggiuntivi per l’emergenza migranti, per un totale di 0,85% di Pil di flessibilità ottenuta. «Una flessibilità senza precedenti, mai richiesta né ricevuta da nessun altro», disse la Commissione Ue a maggio scorso. Ma la flessibilità per riforme e investimenti può essere concessa una volta soltanto: sulla carta, quindi, l’Italia non ne ha più diritto fino a che non riporterà il bilancio in pareggio strutturale.

Chiaro che il messaggio di Juncker appaia come un memento che certo non fa comodo al governo proprio nei giorni in cui prepara non solo la Nota di aggiornamento al Def, ma soprattutto la manovra di quest’anno. È noto infatti che da settimane l’esecutivo studia tutte le possibilità per ottenere nuova flessibilità, anche per il 2017, cercando di motivare una qualche deroga (gli eventi eccezionali da citare potrebbero essere ancora una volta l’emergenza migranti, ma anche ad esempio la Brexit).

Insomma, l’alzata di Juncker potrebbe solo riflettere un gioco delle parti, non escludendo quindi la possibilità che un qualche tipo di flessibilità alla fine l’Italia l’ottenga: soprattutto a causa del quadro politico complicato, con l’ascesa dei partiti euroscettici in molti paesi chiave e il referendum costituzionale alle porte. Indebolire eccessivamente Renzi potrebbe essere un boomerang per l’attuale establishment Ue.

La Nota di aggiornamento, in tutto 80 cartelle, dovrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri lunedì o martedì prossimi. È già noto che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan taglierà le previsioni di crescita di quest’anno, almeno allo 0,9% rispetto all’1,2% stimato in aprile. Quanto al deficit, si dovrebbe attestare al 2,4% quest’anno, ma la scommessa – in un momento di bassa crescita (l’Ocse prevede uno +0,8% anche l’anno prossimo) – è soprattutto quella di mantenere al 2,4% anche lo squilibrio dell’anno prossimo (rispetto a un teorico 1,8% su cui ci si impegnerebbe sulla carta).

Nella legge di Bilancio il governo punta sulle imprese: non solo Ires e Iri abbassate al 24%, ma anche il piano Industria 4.0, con incentivi fiscali di 13 miliardi in quattro anni (nel 2017 muoverebbe 10 miliardi di investimenti privati e un +0,2% di Pil rispetto a quello già calcolato). Rinviando gli sconti Irpef alle persone al 2018.