Secco e sferzante, senza digressioni, I, Daniel Blake di Ken Loach vincitore della Palma d’oro a Cannes e del premio del pubblico a Locarno uscirà nelle sale il prossimo 21 ottobre (distribuisce Cinema di Valerio De Paolis). Per quanto riguarda tutto ciò che è sottinteso è come se il regista rimandasse ai suoi film precedenti: la serata al pub, la partita di calcio, i rapporti sentimentali e amichevoli, le risse, le battaglie politiche e le vittorie. Qui si concentra sul disastro organizzato della cosiddetta assistenza statale inglese, il sussidio di disoccupazione e le sue trappole (un istruttivo vademecum per l’eventuale introduzione del «reddito di cittadinanza» anche da noi). Daniel Blake sessantenne di Newcastle, dopo un infarto non può più continuare a fare il lavoro di carpentiere, il medico glielo proibisce. Entrato nel tunnel burocratico governativo gli viene respinta l’indennità di malattia e deve continuare a dimostrare che cerca lavoro per almeno 35 ore alla settimana. In uno degli uffici incontra una madre single di due bambini che tira avanti con difficoltà dopo aver lasciato Londra dove è diventato difficile vivere ormai non solo per chi ha un salario modesto, ma anche per la classe media.

Daniel comincia ad aiutarla nonostante i suoi problemi, tra tutta la serie di ostacoli e pseudo sostegni esposti con severa precisione, dalla la banca del cibo, alla difficoltà di usare il computer ai workshop obbligatori. Il manifesto del film paragona Ken Loach a De Sica ma, chiediamo al regista, c’è una grande differenza tra i suoi film e Ladri di biciclette dove non c’è ombra di solidarietà operaia: «La solidarietà operaia, dice, è importante in questa comunità di lavoratori che si sostengono gli uni con gli altri, come credo avvenga anche in Italia. Da noi ci sono campagne per i senzatetto, per i disabili, per gli anziani, per le scuole. Ci sono segni di grande solidarietà ovunque. In realtà non possiamo continuare a vivere così, il tessuto sociale è minato.

14vis2idanielblakeFILMLOACH

Il problema è che i paesi europei non si schierano a favore degli interessi delle persone, ma del capitale, cioè rendere i lavoratori vulnerabili e se ti trovi in stato di bisogno è colpa tua quando sappiamo che i posti di lavoro non ci sono e i pochi sono così precari che non consentono una vita dignitosa. Il precariato ha un valore inestimabile per le imprese, un rubinetto che si può aprire e chiudere al bisogno».
Cosa si intravede nel prossimo futuro nel paese? «C’è un motivo di speranza: la sinistra, il partito laburista, un anno fa è riuscito ad eleggere un leader che hanno candidato e che non aveva nessuna speranza di vincere ed ora il partito ha raggiunto un milione di iscritti. Il suo nome è Jeremy Corbyn, tra una settimana ci saranno le elezioni e da quel momento si vedranno i cambiamenti».

Nel film gli aspetti umani e quelli burocratici si contrappongono: «I due aspetti sono strettamente collegati, il governo sa cosa fa e la faccenda è architettata ad hoc per intrappolarci. Lo sa talmente bene che le persone che operano in quegli uffici hanno la precisa indicazione delle sanzioni che devono applicare ogni settimana e se non raggiungono lo standard sono loro ad andarci di mezzo». È un momento di grandi cambiamenti per il paese: com’è la nuova situazione del dopo Brexit? «Il nuovo movimento di sinistra in Inghilterra è pieno di giovani, guidato da giovani, questa è una bella prospettiva. Per quanto riguarda il Brexit c’è sì l’esito del voto, ma non abbiamo ancora lasciato l’Ue, è una sorta di guerra fasulla dove tutti si aspettano qualcosa ma non ci sono scaramucce.

L’effetto immediato è stato che le esportazioni sono aumentate con la sterlina in calo. Molte imprese lasceranno il paese, i datori di lavoro abbasseranno i salari e aumenterà la precarietà. Quello che ha reso complessa la situazione della sinistra è che la Ue non è a favore dei lavoratori, è mossa dalle grandi aziende che operano per la privatizzazione contro i progetti pubblici». Per chi avrebbe votato Daniel Blake? «La maggior parte dei voti sono arrivati dalle classi medie, dai tories, ma anche dalla classe operaia perché nessuno si interessa a loro. I grandi gruppi hanno chiuso, la classe operaia non trova lavoro e si sente isolata, non più rappresentata: questa è la grande sfida per i progressisti, coinvolgere nuovamente queste persone in un progetto politico». È un film, conclude, nato dall’indignazione, dalla rabbia per aver permesso che tutto questo accadesse.