Dyarbakir è da sempre una frontiera. Nell’antichità è stata l’ultima fortezza dell’Impero romano oltre la quale premeva l’impero persiano. Oggi è la retrovia di un altro storico conflitto, quello dei curdi del Rojava contro la nera compagine del califfato islamico.

Nella capitale simbolica del Kurdistan turco, Amed (Dyarbakir), si è svolta una conferenza molto importante, «Reconstructing Kobanê», dove si è discusso delle soluzioni concrete e delle implicazioni politiche relative alla ricostruzione della città che, situata poco oltre il confine turco, nel Kurdistan siriano, ha resistito per 136 giorni all’assedio delle forze militari dell’Isis.
«Rebuilding Kobanê is reclaiming the values of humanity», questo è lo slogan dell’iniziativa promossa dal presidente dell’assemblea del cantone di Kobanê Enwer Muslim, e sostenuta dalla municipalità di Dyarkabir, a cui hanno partecipato 350 delegati provenienti da tutto il Kurdistan, ed esponenti della piattaforma europea «Reconstruction of Kobanê».

Con questa iniziativa, oltre a promuovere e organizzare una necessaria ricostruzione, facendo anche appello agli aiuti internazionali, si vuole far comprendere al mondo quanto sia importante la resistenza curda contro l’Isis, in una guerra che è ancora in corso e che ha provocato enormi devastazioni: moltissime persone hanno perso la vita e in decine di migliaia hanno perduto le loro case in seguito all’assedio.

Ma Kobanê, che è stata definita una Stalingrado del Medio Oriente, non è importante solamente per il valore militare della sua eroica resistenza, o per il suo ruolo simbolico di barriera morale alla barbarie scaturita dal caos mediorientale e dal ciclo ventennale delle catastrofiche guerre del Golfo. Il suo valore va letto al di fuori di Kobanê, nell’esperienza della confederazione del Rojava, l’entità autonoma prevalentemente curda scaturita dalla crisi siriana, la quale rappresenta una solida barriera contro la barbarie dell’Isis e dell’integralismo, ma anche degli autoritarismi che opprimono il popolo curdo e tutto il Medio Oriente, non per ragioni morali e militari ma per profonde ragioni politiche. La vera risposta del Rojava alla barbarie infatti è quella di mettere al centro della resistenza il valore della democrazia. Una democrazia reale costruita dal basso e non esportata a suon di bombe, che ha già prodotto un esperimento politico valido per tutti, dal Medioriente all’Europa. Il Rojava si è infatti strutturato come confederazione di comunità locali che praticano la democrazia diretta basata su principi socialisti ed egualitari.

Ma perché proprio nel Rojava curdo si sta producendo questo esperimento? Sembra paradossale ma vi è un filo rosso che lega la Selva Lacandona degli zapatisti in Messico al Rojava curdo, e questo filo rosso è il municipalismo libertario. Dalla Selva e da Porto Alegre a fine anni Novanta, mentre i poteri finanziari globali indebolivano lo stato nazione destabilizzando il mondo militarmente ed economicamente, il neomunicipalismo si diffondeva ovunque e anche in Italia, con l’esperienza della rete dei nuovi municipi.

Ed è interessante sapere che questo fenomeno ha investito anche i curdi, determinando una svolta storica nella loro lotta. Infatti è noto che il loro leader storico Abdullah Öcalan, oggi nelle carceri turche, ha incontrato il pensiero dell’americano Murray Bookchin, che è tra i principali teorici dell’ecologia sociale legata al municipalismo libertario. Lo stesso Bookchin viene ripreso oggi da David Harvey per suggerire il suo federalismo assembleare come soluzione alle aporie interne al dibattito sui beni comuni.

Scaturito da questo medesimo ceppo, l’esperienza del Rojava costituisce una proposta politica che potrebbe diventare un esempio per la soluzione di conflitti drammatici che sconvolgono il Medioriente ben prima della comparsa dell’Isis, e con esso il mondo intero. L’oppressioni dei popoli da parte di entità statali che ereditano le strutture di dominio coloniale, e questo può riguardare i curdi come i palestinesi, può essere contrastata non contrapponendo stato a stato ma facendo leva sulla crisi dello stato nazionale a favore della democrazia diretta e dell’autorganizzazione delle comunità locali.

Proprio questo approccio è stato infatti promosso e incoraggiato da Ocalan, il quale a partire dalla riflessione di Bookchin ha spostato il conflitto con lo stato turco sul terreno della democrazia e dei diritti, depotenziando anche la valenza etnica delle rivendicazioni curde.

Per questo quella dei curdi del Rojava è una battaglia di civiltà, ma non solo contro la barbarie dell’Isis, anche come risposta a tutte le oppressioni che dividono sempre di più al loro interno le nostre fragili democrazie occidentali, schiacciate tra una globalizzazione autoritaria e rapace e un localismo identitario altrettanto disumano.

È per questo motivo che sono qui come rappresentante del Sindaco di Roma Ignazio Marino. Insieme ad altri amministratori impegnati nella campagna, Claudio Marotta e Amedeo Ciaccheri, abbiamo promosso e ottenuto un gemellaggio tra Roma e Kobanê che speriamo produca uno scambio molto utile anche per noi: un aiuto nella ricostruzione in cambio di un rinnovamento della nostra democrazia.

* capogruppo Sel in Campidoglio