«Non ci sono più miliziani dell’Isis a Kobane». Ad annunciare la ritirata dello Stato Islamico dalla città kurda a nord della Siria era stato Omar Alush, copresidente del movimento Tev-Dem kurdo. Un ottimismo rivelatosi subito eccessivo: l’Isis è ancora presente e ieri gli scontri si sono intensificati.

Le Unità di protezione popolare (Ypg), le milizie armate del Partito di Unità Democratica, estensione siriana del Pkk, hanno riassunto il controllo di buona parte della città («I combattenti dell’Ypg stanno adesso perquisendo le case alla ricerca di bombe o esplosivi lasciati dai miliziani islamisti», aveva aggiunto Alush) ma in realtà l’assedio dell’Isis alla città di frontiera non è ancora terminato.

Nella mattinata di ieri, i combattenti kurdi sono riusciti a frenare una nuova offensiva jihadista verso l’ovest e il nord di Kobane, impedendo all’Isis di circondare la comunità e assumere il controllo del confine con la Turchia, sul cui territorio ieri sono caduti colpi di mortaio sparati dall’Isis. Ma i miliziani islamisti sono ancora presenti nella zona est e nelle colline orientali di Kobane, poco fuori la città, e gli scontri con le Ypg continuano.

Dal centro sono però scomparse le bandiere nere, una vittoria attribuibile alla resistenza kurda che per settimane è riuscita a non capitolare. Negli ultimi giorni, dopo un incontro domenica a Parigi tra il leader kurdo Muslim e l’inviato speciale Usa per la Siria Rubinstein, l’intensificazione dei raid della coalizione guidata dagli Usa e il loro coordinamento con le unità kurde sul terreno hanno costretto l’Isis a ritirarsi parzialmente.

Il timore – fondato – di un nuovo tentativo di assalto dello Stato Islamico nel prossimo futuro resta, però, vivo. Lo esprime anche il generale Austin, capo del commando militare statunitense: la possibilità che Kobane cada «è ancora elevata». Dietro, le difficoltà incontrate fino ad oggi dalla coalizione a frenare l’avanzata islamista, soprattutto in Iraq dove l’Isis si avvicina ogni giorno di più a Baghdad. Venerdì sera il Consiglio di Sicurezza Onu ha chiesto all’unanimità un maggiore sostegno internazionale al governo iracheno, che affronta l’occupazione delle città nelle province occidentali e quotidiani attentati terroristici.

Gli attacchi nei quartieri sciiti sono ormai all’ordine del giorno. Venerdì notte la capitale è stata di nuovo target: 24 le vittime in esplosioni nel quartiere sciita di Baladiyat, quello sunnita di Slaikh e quello di Karrada. Ma il premier al-Abadi ieri è tornato a ripetere di non volere alcuna truppa straniera in territorio iracheno, preferendo schierare milizie tribali sunnite o gruppi armati sciiti a fianco del debole esercito iracheno.

Le milizie in questione sono già operative e, sebbene siano considerate parte delle forze armate, non prendono ordini diretti dal governo. Una loro smisurata crescita militare potrebbe portarle a breve a pretendere concessioni politiche nel processo decisionale del paese, andando così ad inasprire i già gravi settarismi interni.

Alla minaccia Isis si aggiungono, infatti, le divisioni etniche irachene e le difficoltà del nuovo esecutivo del premier al-Abadi di guidare la riconciliazione nazionale. Un passo in avanti è stato compiuto ieri: a un mese e mezzo dalla nascita del nuovo governo, sono stati assegnati gli strategici ministeri di Difesa e Interni. Il parlamento ha dato l’ok alla nomina del sunnita di Mosul, Khaled al-Obeidi, alla Difesa e dello sciita Mohammed al-Ghabban agli Interni. Il secondo è membro del partito Badr, la cui ala militare è tra le più influenti nel paese.