Dalla materia «esotica» della fisica alle rocce di casa nostra e viceversa. Mike Kosterlitz, lo scienziato scozzese premiato ieri con il Nobel insieme ai colleghi britannici Thouless e Haldane, è stato anche un alpinista fortissimo, con un curriculum di tutto rispetto sulle Alpi e non solo.

Tanto che una fessura su un grande masso in valle dell’Orco tra le Levanne e il Gran Paradiso prende il nome proprio da lui: «fessura Kosterlitz».

La sua storia personale si intreccia con un momento di svolta dell’arrampicata italiana. Quando era un giovane ricercatore di fisica teorica presso il Politecnico di Torino tra il 1969 e il 1970, infatti, il giovane Mike cercava compagni di scalate ma nell’austera città sabauda nessuno si fidava davvero delle capacità dello scozzese.

Al suo attivo però aveva già salite importanti in Dolomiti, sul diedro Philipp in Civetta (1965), ai Dru (tra cui la prima ripetizione della Diretta americana e la partecipazione al famoso salvataggio dei tedeschi del’66) e sul Badile.

Qui sulla parete nord est ha aperto una nuova via con Dick Isherwood nel ’68, oggi nota come «via degli inglesi» e rimasta a lungo senza ripetizioni prima di diventare una classica.

Con queste credenziali piano piano la voce su questo «fenomeno» straniero si sparse e Kosterlitz si è legato in cordata con alpinisti del calibro di Gian Piero Motti e Gian Carlo Grassi, partecipando all’inizio di quello che poi diventerà il «nuovo Mattino» dell’arrampicata tricolore.

Un momento irripetibile in cui ’68, ’77 e mondo verticale si sono fusi tra loro lasciando tracce indelebili in tutta Italia.

Mike Kosterlitz - foto Gianni Battimelli
Mike Kosterlitz – foto Gianni Battimelli

Nella primavera del 1969 Grassi e Motti portano Kosterlitz in Valle dell’Orco. «Era incredibile – ha raccontato anni dopo a un altro eccellente fisico-alpinista, il romano Gianni Battimelli – c’era quella successione continua di pareti di granito, una più bella e più grande dell’altra, dove era ancora tutto da fare, tutto. Era come scoprire una Yosemite dietro la porta di casa. Per me – dice Kosterlitz ricordando quei giorni – abituato alle piccole pareti del Galles e del Derbyshire era un paradiso in terra, avevamo il mondo tutto per noi e ci divertivamo».

E così nel ’73 nacquero prima il «Pesce d’aprile» alla Torre di Aimonin e poi il suo capolavoro nella zona, «Sole nascente» al Caporal.

Kosterlitz era un maestro dell’arrampicata a incastro e la fessura di 8 metri che da allora porta il suo nome è ormai diventata celebre. Incide verticalmente un masso di granito grigio salvato dalla distruzione dopo l’apertura della galleria sul suo lato nord, nella strada a fianco.

È uno dei primi passaggi di settimo grado delle Alpi (6b blocco) e per sette anni non l’ha ripetuto più nessuno (il primo a farlo è stato Roberto Bonelli nel ’78).

«Certo, l’incastro era una tecnica che io avevo in più rispetto ai locali, abituato com’ero all’arrampicata nelle fessure sul gritstone, dove la progressione è tutta di incastro – racconta lo scozzese sempre a Battimelli – Le altre novità che ho in qualche modo importato da voi sono state le scarpe a suola liscia e soprattutto i dadi, nelle versioni ancora rudimentali e disponibili all’epoca, poco più che dei bulloni con dentro un cordino».

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Le confidenze con Battimelli non sono casuali. Storico della fisica e autore di bizzarre teorie sulla commistione fra fisici e montagne, firma del nostro mensile «in movimento» (in edicola da domani, a lato la copertina del numero di ottobre) e grande conoscitore della famosa «fessura Kosterlitz», Battimelli racconta così il loro incontro degli anni ’80 a Providence: «Per me Kosterlitz era una sorta di figura leggendaria, di dimensioni mitologiche e contorni imprecisati. Per Mike è stata un’opportunità per ritornare indietro a momenti abbandonati, estraendo dalla memoria ricordi e immagini seppelliti da tempi molto lontani».

Mike infatti ha smesso di arrampicare tanti anni fa, di colpo, per ragioni di salute.

Questo Nobel, oltre a premiare la sua ricerca, darà la possibilità a molti di scoprire il volto poliedrico di un grande fisico-alpinista.