Se il linguaggio amoroso è sempre – a qualunque livello culturale – una «fuga di metafore» ossia «letteratura», questo è ancora più vero nel caso in cui a raccontare una storia d’amore, la loro, sono Philippe Sollers e Julia Kristeva. I quali si sposarono a Parigi nel ’67 e oggi, a dispetto di un’epoca in cui i divorzi hanno superato i matrimoni, vivono ancora felicemente insieme. Quale sia il segreto di questo legame e della sua longevità lo spiegano loro stessi (non solo per metafore) in tre interviste «a due voci» – la prima pubblicata nel ’96 sul «Nouvel Observateur» e due dal vivo nel 2011 e 2014 – raccolte ora in un volumetto intitolato Del matrimonio considerato come un’arte (Donzelli «Saggine», pp. 141, euro 19,00, traduzione di Elisa Donzelli), che contiene anche un breve intervento pubblico della Kristeva sull’infanzia e la giovinezza del marito.
Un matrimonio, dicono lo scrittore-filosofo e la scrittrice-psicanalista, può essere salvaguardato soltanto se non ci si stanca di «costruire la differenza», fino a rischiare l’estraneità del partner. «La differenza tra un uomo e una donna è irriducibile, non è possibile nessuna fusione. Si tratta di amare una contraddizione, qui è il bello», sostiene Sollers, che si richiama a Hölderlin: «Come discordie di amanti sono le dissonanze del mondo. Conciliazione sta in mezzo al contrasto e tutto ciò che è stato diviso si ritrova». Dissonanza, ad esempio, è la tensione tra fedeltà e infedeltà, la prima riconducibile al bisogno di complicità e costanza, come sottolinea Kristeva, la seconda alla necessità del desiderio.
Formatasi nella fase sessantottina, la coppia Kristeva-Sollers è indubbiamente segnata dall’enfasi sulla libertà sessuale, ma non ama una definizione di moda a quei tempi, la coppia aperta. Sollers non condivide il «dirsi tutto», la trasparenza assoluta, che viceversa apparteneva a Sartre e Simone de Beauvoir in anni in cui l’infedeltà non era quasi considerata tale. «Io sono per il segreto», dichiara il fondatore di «Tel Quel». E forse è anche per la fedeltà, se fedeltà vuol dire «una sorta di infanzia condivisa, una forma di innocenza». Anche perché all’inizio «l’incontro è lo scontro tra due infanzie» e «ci si ama soltanto se ci si riconosce come bambini attraverso l’altro e per l’altro».
Quando, la vigilia di Natale del ’66, Julia Kristeva arriva a Parigi dalla Bulgaria, è anche in cerca di qualcuno che la protegga. Comincia a frequentare i corsi di Roland Barthes e di Genette, ma è con Sollers che avviene il colpo di fulmine. L’immediato legame intellettuale e professionale (Sollers la fa entrare nel gruppo della sua rivista) diventa rapidamente anche sentimentale. Lei viene dipinta dalla stampa di destra come una spia del Kgb, questo la debilita, viene ricoverata in ospedale, ma è protetta dalla presenza del compagno: «Tu stai al gioco, pari i colpi – dice rivolta a Sollers durante l’intervista in coppia del 2011 – mi spieghi quali sono le forze in campo, mi informi delle macchinazioni». Nello stesso tempo, tuttavia, entrambi preservano «due spazi sociali distinti, due spazi psichici autonomi e separati, che non si confondono, ma hanno da dirsi qualcosa». È «l’arte del matrimonio».
Tornano più volte nel libro Plotino, Teresa d’Avila, Stendhal, Freud, Bataille, Barthes, che Julia Kristeva aveva eletto a numi tutelari del discorso amoroso in Storie d’amore, il saggio del 1983, tradotto in italiano, sempre per Donzelli, tre anni fa. Resta centrale il mito di Narciso, il quale «in mancanza di un’identità stabile, in preda a continue illusioni, incapace di sapere chi è, si suicida». Ed è ancora grazie a questo mito, che nell’intervista più recente, Kristeva e Sollers spiegano due nuove figure: quella del navigatore solitario della rete virtuale e quella, disumanizzata, del gangster-integralista, che ha perso il senso del bene e del male, di sé e dell’altro, incarnando «una vera e propria disgregazione antropologica e, in tal senso, una fase radicale del nichilismo». Di qui l’esigenza di uno Stato impegnato seriamente «a favore di una laicità che senta la necessità di formare cittadini e non di formattare internauti educati da slogan edenici della web-pub, controfigura simmetrica della propaganda jihadista senza le promesse di salvezza paradisiaca di quest’ultima». Ma qui usciamo dal territorio del matrimonio.