I no oil rilanciano. E per Renzi – è quasi una promessa quella che viene fatta il giorno dopo il referendum – saranno seccature grosse. Se il premier pensava che, dopo il voto, il fastidioso refrain del «no alle piattaforme offshore», si sarebbe esaurito, beh, si sbagliava. Perché «il referendum bufala», come lui l’ha definito, in realtà per gli ambientalisti, per tante organizzazioni e associazioni è servito come spinta a proseguire la battaglia contro l’assalto delle compagnie del petrolio alle coste, e non solo, del Belpaese.

«Il quorum – dice il Coordinamento nazionale No Triv all’indomani della consultazione popolare che ha portato alle urne 15.806.788 cittadini su 50.675.406 aventi diritto (31,19%) – non è stato raggiunto a causa dei reiterati attacchi del governo alla democrazia. Inoltre lo smantellamento progressivo dei diritti, il dilagare della precarietà e della disoccupazione di massa, hanno incancrenito livelli inediti di sfiducia nello Stato, relegando alla chiusura in sé quasi il 50% della popolazione. Ancora più grave, in tale contesto, la scelta, contra legem, di un presidente del Consiglio e di un ex presidente della Repubblica, di invitare all’astensione. Ma il referendum – viene aggiunto – non è mai stato un punto di arrivo: è una tappa di percorso, perché la nostra battaglia contro le lobby delle fossili continua».

A rintuzzare l’attacco Enzo Di Salvatore, costituzionalista, autore dei quesiti referendari. Che spiega, al di là delle cifre, l’utilità dell’iniziativa referendaria: «Innanzitutto la Strategia energetica nazionale, avviata da Monti, ha subito modifiche. La questione delle trivelle e della necessità delle rinnovabili pulite è entrata nelle case degli italiani, ha mobilitato i territori – mentre prima questi temi erano relegati alle aule universitarie – e ha conquistato uno spazio centrale nel dibattito politico. Ventisette procedimenti per il rilascio di nuove concessioni in mare sono stati chiusi e alcune compagnie petrolifere, come Shell e Petroceltic, hanno rinunciato a permessi già ottenuti. In Abruzzo è stato bloccato il progetto “Ombrina Mare” sulla Costa dei Trabocchi».

Ancora. È stato scoperchiato il vaso di Pandora delle concessioni scadute in Adriatico, di cui il ministero dello Sviluppo economico sapeva, e rispetto alle quali ha lasciato che l’attività estrattiva «andasse avanti in spregio alla legge». «Io – tuona Di Salvatore – non mi posso permettere di andare i giro con l’assicurazione o la patente scaduta perché scattano sanzioni. Mentre i petrolieri, con le autorizzazioni scadute e non rinnovate – qualcuna addirittura dal 2009 – continuano a tirar fuori idrocarburi». Tutti adesso – viene inoltre sottolineato – «sanno che non c’è da fidarsi dei controlli che vengono fatti e che il ministero dell’Ambiente ignora (come nel caso della piattaforma Basil), lasciando che le multinazionali avvelenino il nostro mare».

«La battaglia contro le trivelle – prosegue Di Salvatore – riparte con più forza: innanzitutto con la messa in mora del Mise rispetto alle concessioni scadute prima del 31 dicembre 2015, che dovranno cessare la loro attività immediatamente e, in seconda battuta, con una nuova richiesta di moratoria delle attività estrattive, sull’esempio di Francia e Croazia». In ballo poi c’è anche l’interrogazione dell’europarlamentare Barbara Spinelli (gruppo Gue/Ngl) che ha chiesto alla Commissione europea se non ritenga di aprire una procedura di infrazione per violazione delle regole sulla concorrenza in merito alla durata delle concessioni fino a esaurimento dei pozzi. «Invitiamo tutti a non abbassare la guardia e a non farsi abbindolare da frasi barzelletta su posti di lavoro e cali sulla bolletta».

Durissimi i No Triv della Lucania, l’unica regione in cui il quorum è stato raggiunto. In un documento attaccano il «governo burattino delle lobby del petrolio che, stando alle inchieste dei carabinieri del Noe e della Direzione nazionale antimafia in atto in Basilicata, mostra di ora in ora la sua vera natura di comitato d’affari. Numeri alla mano, – sottolineano – questo referendum mette definitivamente in minoranza le pulsioni petrolifere del presidente renziano Pittella, che deve smetterla di blaterare di “limite invalicabile” dei 154mila barili giornalieri, ben sapendo che sta chiedendo il raddoppio estrattivo di fatto, in una realtà che ha già dato troppo, in termini di salute, di esodo, di sacrificio della propria autonomia decisionale, economica e democratica! Chiederemo i dovuti e necessari accertamenti sulla situazione delle falde acquifere dopo un secolo di attività estrattive in Basilicata; sulla situazione dei pozzi chiusi, incidentati, abbandonati».

È rabbia pura nel posto d’Italia dove i due terzi del territorio sono stati «sacrificati alle multinazionali del fossile e alle casse del fisco come hub energetico”» Insomma i «4 comitatini» (come li ha definiti Renzi) si sono organizzati…