Chiara Filizzola, 32 anni, ha un bimbo di 4 mesi partorito mentre i dirigenti di Almaviva in primavera trattavano col governo Renzi le condizioni per il ritiro di 2.988 licenziamenti collettivi, 1.670 a Palermo, il resto a Napoli e Roma. Fabiola Iannello di anni ne ha 35 anni, lei ha tre figli. Fanno parte dei 154 lavoratori che stanno ricevendo le lettere con cui l’azienda comunica che dal 24 ottobre saranno trasferiti a Rende, in Calabria.

Chiara e Fabiola hanno un contratto part-time, guadagnano 700 euro al mese. L’idea di lasciare figli, mariti, di prendere una casa in affitto in un’altra città le terrorizza. Come loro anche gli altri 152 sono part-time, uguale stipendio; nella black-list è finito pure qualche operatore che usufruisce della legge 104 con situazioni familiari complicate. Dopo lo sciopero a caldo, ieri i lavoratori si sono riuniti per l’intera giornata in assemblea.

Il sottosegretario Teresa Bellanova che ha in mano il dossier ha convocato le parti sociali il 20 ottobre. Una beffa per i lavoratori. Che chiedono di anticipare il vertice: «Non si può trattare quattro giorni prima dell’avvio dei trasferimenti». In una riunione nella sede di via Cordova, Almaviva ha informato le Rsa di Cgil, Cisl e Uil di non volere ritirare il provvedimento sui trasferimenti: si tratterebbe tra l’altro soltanto di una prima tranche di operatori destinati a emigrare. Il motivo sarebbe legato alla gestione di una commessa Aso Telecom che il committente avrebbe imposto ad Almaviva di effettuare a Rende. «Per noi è solo un pretesto, i volumi si potrebbero tranquillamente gestire a Palermo», sostiene Eliana Puma, Rsa della Fistel-Cisl. Il sindacato sospetta che l’azienda stia facendo pressioni sul governo perché il sistema della clausole sociali non sta funzionando.

Dopo avere acquisito una commessa Enel prima gestita da Almaviva, segnala la Fistel, Exprivia, che opera in Puglia, avrebbe dovuto aprire un presidio a Palermo assorbendo gli operatori che avevano lavorato su quell’asset e invece i volumi sono stati trasferiti a Molfetta. Inoltre il sistema della clausole è meno vantaggioso rispetto al job acts con un costo del lavoro nettamente inferiore. «Questo settore è diventato un caos – accusa la sindacalista della Fistel – I danni vengono creati proprio dai committenti che continuano a chiedere sconti, e così le aziende non riescono a mantenere gli organici, oltre 100mila addetti in Italia».

La tensione a Palermo è altissima. Il sindacato teme di perdere il controllo sociale perché di ora in ora monta la disperazione tra i lavoratori che hanno già ricevuto la lettera per il trasferimento, mentre l’accordo firmato a maggio (solidarietà al 20-25% con picco massimo al 45% in scadenza il 30 novembre, poi Cigs per 12 mesi con l’opzione per altri 12) è ancora valido. «Sono trascorsi appena quattro mesi dall’intesa e Almaviva ci ha detto chiaramente che non esclude di riaprire le procedure di ristrutturazione con la riproposizione dei licenziamenti collettivi: è chiaro, stanno creando questa situazione per mettere le dita negli occhi al governo», è la convinzione dei lavoratori. Ad Almaviva un operatore costa 55 centesimi al minuto, di recente la Regione Lazio ha aggiudicato la gestione del call center per il sistema di prenotazione a 0,31 centesimi al minuto.

Ad Almaviva un dipendente costa 24 euro l’ora, contro i 12 euro l’ora del job acts. Un part-time guadagna 700 euro al mese, in Albania costa 300 euro.