La legge di bilancio resta un fantasma. Non è arrivata in Parlamento neppure ieri. «La legge dice che deve essere inviata a partire dal 20 ottobre e in settimana arriverà», ha risolto la faccenda Matteo Renzi domenica in tv, dagli studi di In ½ ora, liquidando così le proteste della presidente della Camera Laura Boldrini. Bugiardello o ignorante? Chissà. La sola certezza è che l’affermazione è infondata. La L.163/2016 obbliga infatti il governo a presentare la manovra in Parlamento «entro il» e non «a partire dal» 20 ottobre.

Il capogruppo di Sinistra italiana Arturo Scotto ha scritto una lettera di protesta alla presidente Boldrini chiedendo di convocare immediatamente la conferenza dei capigruppo per decidere come affrontare la manovra, dato il ritardo con la quale verrà trasmessa. I tempi, peraltro, slitteranno ulteriormente. Prima dell’approdo in aula la legge di bilancio dovrà infatti essere esaminata dalla Ragioneria: difficilmente i deputati potranno cominciare a discuterla prima di lunedì prossimo.

Non che la faccenda preoccupi Renzi. Figurarsi se si formalizza sul rispetto delle leggi quando deve sbrigarsela con grane ben più temibili, nello specifico quelle che arrivano da Bruxelles. Sembra che si siano già presentate in carne e ossa, nei panni della commissione arrivata, come previsto, ufficialmente per controllare lo stato delle riforme imposte dall’Europa, ufficiosamente anche e soprattutto per trattare con i tecnici del Mef sui contenuti della legge di bilancio. Le medesime grane stanno anche per arrivare in forma epistolare, con la lettera di richiamo della Commissione attesa entro oggi.

A Bruxelles, almeno ufficialmente, tutti tengono la bocca cucita, ma le indiscrezioni dicono che la missiva sarà pesante. Chiederà di portare il rapporto deficit/Pil dal 2,3 al 2,2%, un decimale che vale 1,6 miliardi di euro, negando il carattere eccezionale delle spese per la messa in sicurezza del territorio a rischio sismico e concedendo solo quelle per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto lo scorso agosto. Ma soprattutto criticherà la struttura stessa della manovra, accusandola di basarsi su misure una tantum come il condono ribattezzato volontary disclosure.

La reazione del governo tutto non è solo tesa a minimizzare ma mira a ostentare disprezzo aperto. Che si tratti di un ordine di scuderia è palese: i toni adoperati dai ministri sono identici e persino il compassato Pier Carlo Padoan, considerato l’elemento «affidabile» a Bruxelles, domenica è sceso sul sentiero di guerra con uno stentoreo «Se respinge la nostra manovra la Ue rischia di finire», al quale l’Unione europea ha risposto sullo stesso poco distensivo tono: «L’Europa finisce se non fa rispettare le regole». Se Padoan la mette così figurarsi Angelino Alfano, che rasenta la smargiasseria: «Se arriva la letterina dall’Europa faremo come gli altri, cioè niente». Appena più posato Delrio che addebita alla Ue «una attenzione maniacale sui decimali e non sull’economia reale». Parole che piacciono al presidente di Confindustria Boccia che si entusiasma ogni giorno di più per la renzinomics e invita quindi l’Europa a essere «più coraggiosa e meno ragionieristica».

Renzi è il più sdegnoso di tutti. La lettera della Ue «è fisiologica», tanto che la riceverà un bel mucchio di altri Paesi. Lui pensa alle cose serie. Promette cioè di andare in Tv per pubblicizzare, oltre che le meraviglie della riforma, anche quelle della manovra. Decisamente nessuno deve avergli mai parlato dell’effetto saturazione.

La grinta italiana è a esclusivo uso referendario e in Europa lo sanno benissimo. Il premier e i suoi ministri ruggiscono più per accaparrarsi i voti degli elettori imbufaliti con la Ue, in particolare quelli di destra, che per sfidare la Ue stessa. Tuttavia la coincidenza tra i tempi della campagna referendaria e quelli della trattativa con l’Europa rischiano lo stesso di determinare un incidente serio che in realtà nessuno vuole ma che nessuno, al momento, sa come evitare. Renzi deve picchiare duro per cercare voti, ma né Merkel né Juncker possono far finta di niente di fronte a una simile sfida aperta. Anche loro hanno i loro falchi che premono, senza contare gli elettori tedeschi che in fondo non pesano meno di quelli italiani.