Dopo la strage di Ankara, gli ambienti progressisti turchi hanno evocato lo scenario di una «strategia della tensione» che possa veder coinvolti, anche indirettamente, apparati o intelligence locali. Una prospettiva che vale in ogni caso per il ritorno sulla scena dei fascisti dei Lupi grigi che vantano una lunga storia di violenza e di connivenze con il potere.

Dietro le bombe della capitale turca non sembra esserci l’estrema destra, almeno non quella «tradizionale», anche se nel precipitare degli eventi voluto da Erdogan questi personaggi giocano un ruolo di primo piano.

A lungo presentato come un «islamico moderato», il premier turco ha virato verso un acceso nazionalismo, scatenando una campagna propagandistica e militare contro i Kurdi che ha ridato forza ai Lupi grigi. Dopo la ripresa degli scontri armati con il Pkk, anche le piazze del paese sono tornare a riempirsi di manifestanti filo-governativi e di estremisti di destra, uniti nell’odio anti-kurdo. A partire dall’inizio di settembre ci sono state centinaia di aggressioni e manifestazioni, talune anche di massa, che hanno preso di mira le sedi del partito Hdp, che sostiene le ragioni della minoranza curda, ma anche la redazione di giornali considerati ostili a Erdogan, come Hürriyet, di tendenza liberale o semplici esercizi commerciali gestiti da famiglie curde.

In molti casi gli assalitori appartenevano allo stesso partito del premier, ma anche la presenza degli estremisti di destra era evidente. A Istanbul, un ragazzo curdo di 21 è stato ucciso a coltellate da un gruppo di Lupi grigi che partecipava ad una manifestazione contro il Pkk. In altri casi, noti esponenti dell’ultradestra hanno scelto di schierarsi al fianco di Erdogan in vista delle prossime elezioni anticipate di novembre. Per i fascisti locali, la nuova linea inaugurata da Erdogan dopo il fiasco elettorale di giugno, sta infatti riportando d’attualità slogan e parole d’ordine mai dimenticate.

Nato nel secondo dopoguerra, ma ispirandosi ai gruppi parafascisti che erano sorti nel paese già negli anni Trenta – i cosiddetti Idalisti, Ülkücü – intorno alle posizioni degli intellettuali ultranazionalisti Ziya Gökalp e Nihal Atsiz, il movimento dei Lupi grigi ha sempre reclamato la propria filiazione con il «padre della patria», Mustafa Kemal Atatürk, soprannominato Bozkurt, il Lupo grigio, negando la semplice esistenza delle minoranze culturali o religiose nel paese, a cominciare dai kurdi.

In realtà, sotto la guida del colonnello Alparslan Türkes che avrebbe svolto un ruolo di primo piano nel golpe del 1960 – e che fonderà nel 1969 il braccio politico del movimento, il Partito di azione nazionale, Mhp, che raccoglie attualmente oltre il 16% dei consensi, pari a un’ottantina di eletti, specie nell’Anatolia profonda -, fin dagli anni Cinquanta, i Lupi grigi avrebbero operato all’ombra delle strutture paramilitari anticomuniste sorte nel paese nell’ambito della Nato, compresa la Gladio turca, per poi trasformarsi, a partire dagli anni Settanta in una componente essenziale della repressione contro le sinistre condotta dagli apparati militari, prendendo parte all’epurazione della popolazione greca di Cipro e partecipando alla guerra sporca contro i kurdi.

Inoltre, i fascisti turchi saranno coinvolti in attentati e omicidi compiuti presso le comunità dell’emigrazione pressoché in tutta Europa, oltre che in molte vicende ancora avvolta dal mistero, come il fallito attentato contro Giovanni Paolo II compiuto dal lupo grigio Mehmet Ali Agça nel 1982.