Promettere una cosa in campagna elettorale e poi farne un’altra quando si è al governo. Il partito socialdemocratico tedesco (Spd) si sta specializzando in un’arte nella quale spiccano per bravura alcuni esponenti politici italiani attualmente in voga, ma che non conosce confini. Come ogni vera arte che si rispetti.

Il primo clamoroso voltafaccia è stato quello su introduzione della patrimoniale e aumento delle aliquote fiscali più alte: proposte sbandierate nei comizi prima delle elezioni politiche federali dello scorso anno, e poi sacrificate sull’altare della grosse Koalition con i democristiani (Cdu/Csu) della cancelliera Angela Merkel.

E ora è il turno del Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il famigerato Trattato di libero scambio fra Unione europea e Stati uniti sul quale è in corso un segretissimo negoziato da oltre un anno. Ufficialmente la Spd si è sempre espressa in modo molto critico verso quella che alcuni chiamano «la Nato del commercio»: nella campagna per le europee Martin Schulz non si lasciava scappare occasione per mostrarsi molto dubbioso.

Ora la situazione non è più la stessa, e le aperture sono decisamente più ampie delle riserve.

se serve merkel
Fra i due casi, in realtà, c’è una differenza, che rende il cambio di orientamento sul Ttip ancora più grave. Sull’aumento delle imposte, infatti, la rinuncia della Spd ad affermare il proprio punto di vista fu dovuta ad uno scambio politico alla luce del sole, presentato come tale anche alla base (che poi ratificò la scelta in un referendum interno): nell’intesa di governo con la Cdu/Csu i socialdemocratici ottennero l’introduzione del salario minimo legale e l’abbassamento dell’età pensionabile a 63 anni ma dovettero in cambio abbandonare ogni velleità di maggiore giustizia fiscale. In una logica di coalizione – piaccia o no – i compromessi si devono fare.

Il ripensamento sul trattato Ue-Usa, invece, è tutta farina del sacco del vicecancelliere e ministro dell’industria, il leader socialdemocratico Sigmar Gabriel. Che, da un paio di mesi, intravede le magnifiche sorti e progressive che si stagliano di fronte al mondo economico tedesco nel caso in cui fra le due sponde dell’Atlantico si possa commerciare senza troppi lacci e lacciuoli (leggasi: norme a tutela di lavoratori e ambiente).

Il segretario della Spd vuole che tutta l’organizzazione lo segua, in modo da avere le spalle coperte: non sia mai che qualcuno lo accusi di avere tradito, con un colpo di mano, la linea. E quindi sottoporrà all’assemblea nazionale del partito (Parteikonvent), in programma domani nella sede centrale a Berlino, un documento con il quale verrebbe democraticamente sancito il nuovo orientamento. E cioè: un sensibile ammorbidimento dei toni dell’opposizione al trattato, e soprattutto l’avvio di un nuovo processo di «approfondimento» interno, il cui esito desiderato dal vicecancelliere è fin d’ora molto chiaro.

Sì o sì. In numerose occasioni pubbliche, infatti, Gabriel – parlando soprattutto in veste di ministro dell’Industria – non ha fatto mistero di pensare che il Ttip significherebbe addirittura «dare regole alla globalizzazione». Consapevole delle difficoltà nel far ingoiare la sua posizione al partito, dove la sinistra interna sta dando battaglia, il leader socialdemocratico cerca alleati di peso. Come il sindacato.

Secondo informazioni diffuse dall’autorevole quotidiano Süddeutsche Zeitung, sarebbe imminente l’uscita di una dichiarazione ufficiale sottoscritta dal ministero dell’industria e dalla confederazione unitaria Dgb nella quale si dà il via libera alla firma del trattato Ue-Usa. La notizia ha creato non poco scalpore, perché ha riproposto all’interno dell’organizzazione dei lavoratori gli stessi problemi in cui si dibatte la Spd: una «correzione» di linea adottata senza il necessario consenso dei quadri e dei militanti. E in Germania a regole e procedure sono abbastanza affezionati.

Le reazioni non si sono fatte attendere. In assenza di conferme o smentite ufficiali, la principale federazione di categoria, la Ig Metall, ha emesso un durissimo comunicato nel quale ha ribadito punto per punto tutte le ragioni per le quali è contraria alla stipula del trattato. Una presa di posizione di grande rilevanza, se si pensa che i metalmeccanici non sono la sinistra, ma la destra della confederazione. E se si tiene in considerazione che l’industria meccanica tedesca (auto e non solo) prospera proprio grazie all’export, che, almeno in teoria, sarebbe favorito da un commercio ancora più libero tra le due sponde dell’Atlantico.