«Open border» hanno chiesto per giorni. Lo hanno scritto sui cartelli innalzati davanti ai poliziotti macedoni, lo hanno ripetuto a voce ogni volta che hanno potuto. «Open border», aprite la frontiera. Niente da fare. I due cancelli che separano la Grecia della Macedonia sono rimasti chiusi, aprendosi ogni tanto ogni giorno solo per far passare con il contagocce prima qualche centinaio, poi qualche decina di uomini, donne e bambini. Sempre di meno e sempre più lentamente.
A Idomeni, la località greca che raccoglie i migranti diretti in nord Europa e rimasti bloccati dalla decisione di Skopje di chiudere la frontiera, ieri mattina la disperazione si è trasformata in rivolta. A scatenare qualche centinaio di profughi è stata la notizia, poi rivelatasi falsa, che i macedoni stavano finalmente riaprendo la frontiera permettendo così l’ingresso nel paese. Quasi una festa, se si tiene contro che nelle 24 ore precedenti avevano fatto passare solo 92 richiedenti asilo, 79 siriani e 13 iracheni.

E’ stato un attimo, la speranza di riuscire a riprendere il cammino verso la Germania e gli altri paesi del nord si è riaccesa immediatamente ma è durata poco. Il tempo di capire che non era vero niente, che quei cancelli di ferro e filo spinato erano ancora chiusi e così sarebbero rimasti. La speranza allora si è trasformata prima in delusione e poi in rabbia. «Aprite il confine», «Vergogna», hanno cominciato a gridare circa trecento profughi, in prevalenza uomini ma in mezzo a loro anche tanti bambini. Qualcuno ha afferrato un palo in ferro e lo ha usato come un’ariete per colpire il cancello montato sulla linea ferroviaria. Un colpo, poi due, poi tre fino a quando non ha ceduto aprendo un varco. Dall’altra parte, ad aspettare i migranti, c’erano i poliziotti macedoni in tenuta antisommossa. E’ cominciato un lancio di lacrimogeni ai quali la folla di migranti ha risposto tirando pietre. Qualcuno è riuscito a passare ed è entrato in Macedonia, ma è stato subito fermato dagli agenti. Lacrimogeni sono caduti anche tra i migranti seduti lungo i binari. Il bilancio della giornata parla di un poliziotto macedone e una trentina di migranti feriti, tra i quali molti bambini.

Il rischio adesso è che le scene viste ieri a Idomeni siano solo l’inizio di una situazione che non si sa dove potrebbe portare. «Ci sono motivi per pensare che ci sarà una nuova escalation della crisi entro l’8 marzo», ha detto il ministro degli Esteri macedone Nikola Poposki. La data non è detta certo a caso. Per il 7 marzo è infatti fissato il vertice che i leader dei 28 terranno a Bruxelles con il premier turco Ahmet Davutoglu e dal quale potrebbe dipendere il futuro stesso dell’Unione europea. La speranza è che Ankara si decida a fermare i migranti impedendogli di attraversare l’Egeo continuando ad arrivare in Europa. Come adempirà al ruolo che gli chiede Bruxelles, sembra non interessare nessuno. Quello che si sa invece è che il summit Ue-Turchia non porterà i risultati sperati i falchi del blocco Visegrad, più i paesi balcanici ma anche l’Austria inaspriranno ulteriormente le misure anti-migranti. Che potrebbe voler dire chiusura totale delle frontiere con conseguenze drammatiche per decine di migliaia di uomini, donne e bambini, ma anche per la Grecia.

Anche in previsione di quel che potrebbe accadere nei prossimi giorni ieri Tsipras ha indetto una riunione di governo per parlare del vertice Ue-Turchia e della prima revisione del programma economico. le due cose, infatti, sono strettamente collegate. Secondo alcune stime la crisi dei migranti potrebbe portare a un aumento della spesa pubblica greca dello 0,3%, contribuendo così a una possibile recessione. Per questo Tsipras insisterà con il presidente del consiglio Ue Donald Tusk, atteso ad Atene giovedì, perché Bruxelles renda finalmente operativa l’assegnazione obbligatoria dei rifugiati negli altri Stati membri, minacciando in caso contrario di porre il veto sui futuri accordi dell’Unione.

Il rischio è che la Grecia diventi presto quel «deposito di anime» di cui ha parlato qualche giorno fa il ministro greco all’immigrazione Mouzalas, secondo il quale nei prossimi giorni nel paese potrebbero trovarsi bloccati 70 mila migranti contro i poco più di 22 mila di oggi (7.000 dei quali alla frontiera con la Macedonia). «Il 6 e 7 marzo è il periodo in cui ci si aspetta il maggior afflusso», «Abbiamo quella data come scadenza per trovare soluzioni riguardanti i migranti dalla Turchia verso la Grecia», ha spiegato ieri il ministro per le Politiche migratorie dei Paesi Bassi Klaas Dijkhoff. «L’Europa non può lasciar sprofondare la Grecia», ha incalzato invece la cancelliera Angela Merkel il cui destino, paradossalmente, appare oggi sempre più legato a quello di Atene.