Nell’aula del Senato rimbombano discorsi colmi d’idealità: democrazia, diritto di rappresentanza, Calderoli chiama esplicitamente in causa il rischio di un fascismo mascherato. Ma sulla soglia di quell’aula, la musica cambia e di quanto bene o male possa fare la Carta rivisitata da Renzi non parla più nessuno. Lo sanno tutti che i voti non si conquistano convincendo. Inutile perdere tempo e prendersi in giro: qui la sola parola che conta, e che ripetono tutti, è «calciomercato». Vince e scrive la Costituzione chi più ha da offrire e meglio sa circuire. La coppia Renzi-Verdini non la batte nessuno.

Anche perché non ha rivali. Silvio Berlusconi non faciliterà il lavoretto all’ex socio, non ordinerà alle sue residue ma ancora cospicue truppe di andarsi a bere un cappuccino nel momento topico del voto. Ma nemmeno gli renderà più ardua la faccenda. Fosse l’instancabile uomo del 2007, quello pronto a tutto e larghissimo di manica pur di far cadere Romano Prodi, per Renzi non ci sarebbe speranza. Ma la linea di Berlusconi è un’altra: «Non aderire né sabotare». Significa che alla fiera di palazzo Madama c’è un solo acquirente. Gli va di lusso.

A palazzo Madama il clima è cambiato. Il governo si sente sicuro, le sue «democratiche» truppe spadroneggiano. Miracoli del «calciomercato». Tre senatrici tosiane, preziosissime, sono in cassaforte. Potrebbero forse costare qualche spesuccia in termini di infrastrutture ma il gioco vale la candela. Due cosentinani, fedelissimi di Nick il galantuomo, hanno già fatto il salto per due posti invidiabili, sottosegretariato e presidenza di commissione. Va di lusso pure a loro. Altri due senatori ex grillini oggi al Misto, tra cui il dissidente per eccellenza ai bei tempi delle 5 Stelle Orellana, vengono dati per acquisiti. E l’Idv si è riciclato come contenitore per frontalieri in marcia di avvicinamento verso il Pd: tre voti, e buttali via.

Le manovre in cui Verdini è maestro e Lotti allievo promettente dovrebbero portare al recupero dell’Ncd. Martedì sera un pattuglione di dissidenti si è incontrato in gran segreto a casa di Luigi Marino, presente, ma solo in veste di osservatore, anche Casini. Qualcuno, come Formigoni e Giovanardi, alla fine non voterà la riforma, ma probabilmente limitandosi a disertare l’aula. Il grosso è già a nanna nell’ovile. Faranno la differenza quei senatori ex ribelli poi ricomprati. Di sfuggita, c’è un certo significativo simbolismo nel fatto che le sorti della Costituzione repubblicana siano nelle mani di un partito inesistente, mai votato da nessuno, sotto la soglia minima di sopravvivenza in tutti i sondaggi e pullulante di disperati in frenetica ricerca di un collocazione futura purchessia.

Renzi non si accontenterà di una vittoria così misera e squalificata. Conta però, una volta comprati i voti necessari per farcela comunque, di convincere una parte almeno dei dissidenti del Pd a ripensarci, magari offrendo qualcosina di poco consistente, una frasetta nell’art.2 e un rinvio a leggina elettorale da destinarsi. Niente di serio, ma si sa che in questa vicenda c’è molto di drammatico ma pochissimo di serio, e la finta mediazione sarà utile come alibi per chi cercasse una scusa qualunque per ricredersi in tempo. Va da sé che la manovra è già in corso.

In Italia la Costituzione si riforma così, e in fondo non è mica una novità che nei momenti incandescenti le camere si trasformino in suq. In effetti è già successo. Ma con qualche importante differenza: la caduta di un governo non è la riscrittura della Costituzione; la campagna acquisti non era mai stata così volgare e sfrontata, quasi rivendicata con orgoglio; nel passato anche recente, la politica aveva mantenuto un suo residuo spazio, sia pur stretta sempre più all’angolo dalla tracotanza di quelli in grado di offrire di più: ora di quel già angusto spazio non resta più nulla. Infine quando in queste nobili faccende era impegnato Berlusconi, i media e gli opinionisti in coro almeno sanzionavano severi. Adesso è grasso che cola se gli scappa un «birichino».