C’è solo un piccolo dettaglio stonato nel calendario preparato da mesi nell’agenda politica catalana e spagnola. Da molte settimane è noto che il parlamento catalano avrebbe approvato ieri, il giorno dopo il referendum scozzese, la «legge sulle consultazioni popolari non referendarie e sulla partecipazione dei cittadini», e che Artur Mas appena pubblicata la norma in gazzetta, avrebbe firmato il decreto per convocare la prima «consultazione» proprio per il 9 novembre, scelto dalla maggioranza delle forze catalane un anno fa per svolgere «il referendum» in cui i cittadini dovrebbero rispondere a due domande: volete che la Catalogna sia uno stato? Se sì, volete che sia indipendente?

È da molte settimane che anche il governo di Madrid prepara la sua risposta: prima ancora di conoscere il testo della norma, aveva già promesso che avrebbe bloccato sia la legge che l’eventuale decreto referendario con un ricorso al tribunale costituzionale. Rajoy ha infatti annunciato che è pronto a convocare un consiglio dei ministri straordinario proprio per impugnare la norma catalana.

L’unico dettaglio imprevedibile di questa sceneggiatura era se la Scozia si sarebbe svegliata indipendente o no. E tutti quelli che da Madrid si sgolavano a ripetere che le aspirazioni di autodeterminazione scozzese e catalane non avevano nulla a che fare tra loro, ieri non si sono stancati di lodare il voto scozzese, svoltosi pacificamente, come ha ricordato Rajoy, «nel più scrupoloso rispetto della legge». Il leader del Psoe Pedro Sánchez ha approfittato per dire che gli scozzesi hanno preferito l’unità, per chiedere a Rajoy di aprire una stagione di riforme costituzionali, il vecchio cavallo di battaglia socialista di fronte alle sfide catalane.

Ma anche dal fronte catalano arrivano attestati di ammirazione verso Edimburgo. Quello scozzese, ha detto il presidente catalano Artur Mas, «è il buon cammino, l’unico cammino per risolvere i conflitti». Aggiungendo che «votare unisce, non divide» e che la Scozia ha dato «una grande lezione di democrazia». Certo è che i catalani si aspettavano molto dagli scozzesi e la sconfitta del sì brucia. I socialisti catalani invece si sono affrettati a sostenere che in Scozia ha vinto «la terza via» da loro preferita, cioè un maggiore federalismo.

Adesso a Barcellona si concentrano tutti sui prossimi passi. La legge sulle consultazioni è stata approvata in serata con 28 no e i 106 sì di CiU, Erc, Icv e Cup ma anche dei socialisti. Contrari i popolari e il partito centralista «Cittadini».

Che succederà ora? Tutti gli osservatori prevedono che martedì il tribunale costituzionale accetterà il ricorso e bloccherà l’efficacia della legge in attesa della sentenza. L’ipotesi più probabile è che Mas, controvoglia, visto che perderà la risicata maggioranza relativa, scioglierà per la seconda volta anticipatamente il Parlament e convocherà «elezioni plebiscitarie» da svolgere proprio il 9 novembre.

Ma esistono altre opzioni. I socialisti catalani hanno già mandato segnali di apertura per sostituirsi come stampella a Esquerra repubblicana. Magari in attesa che il Tribunale costituzionale si esprima. Certamente le prossime settimane saranno convulse: la marea nazionalista catalana che ha occupato le strade di Barcellona il giorno della Diada non resterà con le mani in mano il 9 novembre.