Il ministro Beatrice Lorenzin sperava di chiudere la questione della maternità surrogata invocando la legge 40, che la punisce con due anni di reclusione. Ma la legge 40 è poco più di un guscio vuoto, dopo le numerose sentenze della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti Umani che hanno abrogato ben cinque dei divieti contenuti nella legge. E non è finita: il 22 marzo la Consulta dovrà pronunciarsi sul divieto assoluto di sperimentazione sugli embrioni. «Stavolta il verdetto non è scontato», dice Gilberto Corbellini, docente di bioetica alla Università La Sapienza di Roma e schierato decisamente sul fronte libertario, come dimostrano la sua lunga militanza nell’«Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca» e i suoi interventi sul Domenicale del Sole-24 Ore.

Altrove, sugli embrioni umani si sperimenta eccome. Appena un mese fa, ad esempio, l’Inghilterra ha autorizzato l’uso di embrioni umani su cui applicare la nuova tecnica di modifica genetica Crispr. Crispr permette di correggere il Dna di una cellula con grande facilità, eliminando geni difettosi o sostituendoli con varianti sane. Al Crick Institute di Londra, verrà applicata per studiare le cause degli aborti spontanei. «Ma anche in Italia si fa ricerca sulle staminali embrionali – precisa Corbellini – solo che bisogna importarle dall’estero, come fa Elena Cattaneo per studiare una gravissima malattia genetica, la Còrea di Huntington».

Nessuno si augura che i bambini del futuro siano progettati a tavolino, ma Crispr apre anche enormi possibilità terapeutiche. La bioetica da che parte sta?

Per ora non vedo radicali novità per la bioetica. Allo stato attuale, Crispr non è ancora una tecnica così efficiente da poter essere usata su embrioni destinati a una gravidanza, anche se le nuove sperimentazioni sono sempre più precise. In ogni caso, di terapie geniche si parla da molti anni e le norme per prevenire applicazioni pericolose ci sono.

Forse in Italia. Ma non c’è il rischio che da qualche parte, in un paese più permissivo, sorgano laboratori per il «design dei figli»?

Con la clonazione questo non è successo. Uno scienziato, magari in cerca di notorietà, rischia grosso se infrange norme bioetiche condivise. Hwang Woo-suk, che annunciò al mondo di aver creato cellule staminali embrionali con la clonazione, è caduto in disgrazia dopo le rivelazioni sugli abusi commessi nel suo laboratorio. Ma se qualcuno riuscisse a curare una malattia genetica applicando la tecnica Crispr su embrioni, personalmente non ci vedrei niente di male. L’importante è che l’opinione pubblica sia consapevole dei rischi. In realtà, tante paure potrebbero essere ingiustificate. Si diceva che la fecondazione in vitro violasse la bioetica. Dopo la nascita dei primi bambini, è diventato etico garantire l’accesso alla fecondazione in vitro a tutte le donne.

Non ci sono rischi, dunque?

Non dico questo. Con Crispr si potranno debellare i geni-malattia che danneggiano l’organismo se funzionano male. Sarebbe un ottimo risultato per l’individuo e per i suoi familiari. Ma per la specie potrebbe essere un disastro. Se i geni-malattia esistono, è perché hanno anche qualche funzione adattativa. Il gene che provoca l’anemia falciforme, infatti, è entrato nel nostro pool genetico perché ci protegge dalla malaria. La fibrosi cistica forse è una conseguenza dell’adattamento al colera. La malattia di Tay-Sachs è probabilmente l’altra faccia della resistenza alla tubercolosi. Siamo sicuri di voler eliminare queste varianti genetiche?

Chi dovrebbe fare queste scelte?

La bioetica, almeno alle sue origini e nell’intento di alcuni scienziati, aveva come obiettivo proprio questo: studiare con un approccio cibernetico la relazione tra le scoperte scientifiche e il loro impatto sociale per elaborare un metodo condiviso per accettarle o rifiutarle. Ma dagli anni ’70 è finita in mano ai «professionisti dell’etica», cioè filosofi, preti e avvocati. Come se le scienze umane e le religioni avessero un primato sul settore.

Infatti nel Comitato Nazionale di Bioetica hai resistito un solo anno, prima di dimetterti. Ma sulle questioni bioetiche dovrebbero decidere gli scienziati da soli?

Certo che no. Ma oggi le neuroscienze, con la risonanza magnetica e il neuro-imaging, sono in grado di spiegarci abbastanza precisamente ciò che avviene quando esprimiamo un giudizio morale o quando soffriamo. Ne dovremmo tenere conto. Mi spiego con un esempio. La morte di Ivan Il’ic di Tolstoj è indubbiamente un capolavoro della letteratura. Ma per capire cosa vuol dire davvero morire sono più utili le scienze sperimentali.

Eutanasia, riproduzione assistita, Ogm, Stamina, Xylella: in Italia scienziati, politica e opinione pubblica entrano spesso in conflitto. Di chi è la colpa?

La nostra classe dirigente ha grosse responsabilità. Incompetenza, populismo e corruzione fanno sì che vicende come quelle di Di Bella o Vannoni guadagnino facilmente rilevanza nazionale, mentre altrove sarebbero governate con facilità. Prendi la sperimentazione sugli animali. Secondo le statistiche, il 55-60% degli italiani è favorevole alla sperimentazione sui topi. Però i due terzi delle firme alla mozione europea «Stop Vivisection» sono italiane: perché la politica preferisce sostenere posizioni settarie o minoritarie? È anche un retaggio della riforma Gentile: la gran parte dei politici sono laureati in giurisprudenza, a cui si poteva accedere solo con la maturità classica fino al 1969. Abbiamo allevato parlamentari scientificamente ignoranti.

Però i dati di Observa – Osservatorio Scienza e società mostrano che nel complesso gli italiani si fidano degli scienziati.

Credo che molto dipenda da come si pongono le domande. Le indagini statistiche spesso privilegiano un’idea nozionistica della cultura scientifica. Io in realtà qualche problema lo vedo, visto che abbiamo percentuali altissime della popolazione incapaci di leggere il bugiardino delle medicine. La divulgazione scientifica, i festival, i musei servono fino a un certo punto. Suscitano divertimento e meraviglia, ma sono in gran parte rivolti a un pubblico adulto e gli adulti difficilmente cambiano idea.

Occorre investire in altri settori?

La scuola rimane fondamentale, perché quella è l’età in cui il cervello è plastico e più pronto ad adottare un approccio scientifico ai problemi. Però non si investe abbastanza in istruzione. Oggi i ragazzini imparano in spazi fatiscenti e hanno di fronte docenti poco gratificati intellettualmente ed economicamente. I festival vanno benissimo, ma non possono rimediare ai danni che provoca lo stato di abbandono della scuola.