È l’estate dei grandi capitali. Del flusso incontrollato di euro sul mercato, dalla Cina all’Europa, soprattutto in Inghilterra, con i calciatori che sono divenuti assegni circolari di un sistema che fabbrica soldi ed è in continua trasformazione. Paul Pogba al Manchester United per una cifra che oltre quota 100 milioni di euro, affare segnalato in dirittura d’arrivo, è solo l’ultima curva di un percorso che pochi club porta in avanti e molti ne lascia alle spalle. Con ogni probabilità la Juventus sarà costretta a cedere il suo miglior calciatore, uno dei top player della Serie A, nonostante le casse bianconere siano piene di euro, forse come non mai. Lo stadio di proprietà, il peso del marketing, anche il J Medical, il centro medico bianconero che vuole essere esempio in Europa, un processo di patrimonializzazione assieme ai risultati sportivi che porta e porterà risorse, ma al momento con l’Inghilterra, con la Premier League non c’è competizione.

Semplicemente, i Red Devils possono contare sul doppio, forse il triplo delle riserve juventine, anche se nell’ultimo biennio sono stati presenza marginale nelle Coppe europee e in Premier. E non solo per il valore del brand dello United, il terzo club più ricco al mondo secondo Forbes ma per il nuovo contratto televisivo in vigore per i venti club di Premier, sette miliardi di euro complessivi sino al 2019 (e solo per i diritti domestici, nel territorio inglese) con incremento del 71% rispetto all’accordo precedente – soldi distribuiti al 50% in parti uguali, per il 25% in base ai passaggi televisivi di ogni squadra e l’ultima fetta in base al piazzamento in campionato – che garantisce a ogni società di poter investire cifre a svariati zeri sul mercato.

Quindi nulla di strano se l’Everton, che certo non si colloca nell’aristocrazia del torneo inglese, si presenti dal Napoli secondo in classifica nella passata stagione, con accesso diretto alla Champions League, con oltre 40 mln di euro per Kalidou Koulibaly, oppure che piccole realtà come Stoke City, Southampton rilancino offerte per Manolo Gabbiadini o Simone Zaza per oltre 20 milioni di euro. Insomma, si tratta di treni che viaggiano a marce differenti, alta velocità contro un espresso.

L’Italia, Juventus a parte, con un sistema che si autofinanzia ma che comunque per avviare il circolo virtuoso ha potuto contare negli anni post Calciopoli su continue ricapitalizzazioni della proprietà del club per centinaia di milioni di euro, è in ritardo, non ancora agganciata alla crescita collettiva del pallone anche se qualcosa si muove con le milanesi finite in mano a cordate cinesi. Quella rossonera, dopo il fuoco di paglia di Mister B della scorsa estate, dovrebbe vedere al vertice di una cordata di imprenditori Sonny Wu, il capo delle energie rinnovabili che qualche tempo provava ad acquistare la Philips per 3,3 miliardi di dollari, come rivelato da Repubblica, mentre sulla sponda interista c’è già da qualche settimana il gruppo Suning, con un programma a medio termine per riportare i nerazzurri tra le prime dieci società al mondo.

Ma perché ora in Italia e ancora prima in Inghilterra e Spagna? Nel Paese della Grande Muraglia c’è un input culturale dettato da Xi Jinping: divenire una potenza calcistica nel giro di un decennio, 850 miliardi di euro di denaro pubblico da investire, con il pallone materia d’insegnamento in 20 mila scuole tra elementari e medie, con insegnanti in arrivo dall’Europa, sfilati alle accademie dei top club. E quindi l’ingresso nella Serie A è parte di un percorso formativo, apprendere, imparare e riportare il modello in patria.
L’estate dei capitali quindi è solo il primo passo, le inglesi diventeranno sempre più invasive sul mercato mentre è solo questione di tempo per lo sbarco del primo vero fuoriclasse, un Messi o Neymar jr in terra cinese, che finora ha imbarcato buoni calciatori, talenti ed ex promesse.