Il cielo blu, perfetto, dello stesso colore del mare e neanche un nuvola, una leggera brezza che spira dalle montagne dietro la città, i fiori ben curati delle aiuole sulla lunga passeggiata costiera. Nizza sembra muoversi in un’aria sospesa, fatta di nulla, senza spazio e senza tempo. A pochi metri dal luogo dove si è fermata la corsa del candido camion che ha falciato come birilli ottantaquattro persone ci sono curiosi che fotografano, sportivi che corrono e vanno in bicicletta, turisti che fanno il bagno, turisti che portano fiori, turisti che si fanno i selfie, altri che piangono e pregano, altri ancora che si inginocchiano e restano muti per lungo tempo.

Tra gli ottantaquattro morti ecco i corpi di dieci tra adolescenti e bambini, perché quella di ieri sera era una festa per loro, con i fuochi artificiali alti nel cielo. Nella follia della notte la folla ha sbandato non sapendo dove scappare, così decine di piccoli hanno perso la mano dei genitori e per molte ore hanno vagato in lacrime sul lungomare della morte.

Scene spettrali, fatte di cadaveri con braccia e gambe divaricate, oppure raggomitolate in posizione fetale, pozze di sangue e bossoli di proiettili. Cinquantaquattro bambini sono stati ricoverati in ospedale, e secondo i medici molti «lottano tra la vita e la morte», molti privi dell’assistestenza dei genitori che risultano dispersi.

Nizza ricorda quelle figure ambigue nelle quali puoi vedere una forma o un’altra, perché tutti i sentimenti possibili si compenetrano fino a diventare un unicum indistinguibile. Manca, sorprendentemente, quello che ci si aspetta maggiormente: l’odio. E se c’è, è ben mimetizzato dentro forme contenute, prive di eccessi.

Sul terreno sono rimaste persone normali dalla vita normale: là, dove Nizza racconta la sua splendida bellezza, in riva al mare, a un passo dall’esclusivo hotel Negresco, l’asfalto questa notte era disseminato di corpi coperti da teli bianchi e blu. Corpi sparpagliati lungo un chilometro con andamento zigzagante, evidente segno che li ha rincorsi uno ad uno, Mohammed Boulhlel, il franco-tunisino che alla guida del suo camion si è lanciato contro la folla che stava assistendo ai fuochi artificiali.

Era armato, ma con ogni probabilità non aveva complici. Non si sa ancora chi sia quest’uomo. Un lupo solitario? Un pazzo? Oppure la punta di una organizzazione che l’ha mandato a morire, martire in una guerra asimmetrica. I siti che afferiscono all’Isis e ad altre organizzazioni terroristiche hanno rivendicato la strage, esultando. Ma al momento nessuno può dire se Mohammed Boulhlel abbia alle spalle una struttura complessa simile a quella che ha compiuto gli attentati parigini di novembre; oggi l’Isis é un logo disponibile per tutti coloro che vogliono combattere una guerra, siano essi gruppi armati ben organizzati, o pazzi solitari.

Le vittime non sono solo francesi, ovviamente. Nizza è una città cosmopolita che attira turisti da tutto il mondo: americani, italiani, inglesi, russi, giapponesi, cinesi. Una passeggiata per il centro città è un piccolo giro nel mondo. E anche oggi, nonostante il lutto, il mondo continua a percorrere queste vie, dove vengono offerte moules frites come se nulla fosse.

Dicono che sia per superare la paura, per non cedere al terrore. Qui tutti dicono che come miglior risposta si debba mantenere intatto lo stile di vita che ti porta a uscire e a fare un po’ come se nulla fosse accaduto. Anche se è evidente che dietro gli sguardi spensierati di alcuni c’è una sospensione, la vaga sensazione di vivere in un mondo incomprensibile, nel quale si può sopravvivere solo se si rimuove immediatamente ogni riflessione sul perché. Così gli inviti alla calma e all’amor patrio che si susseguono nelle dichirazioni di Hollande e Valls assomigliano alla disperata richiesta di una rimozione collettiva coatta.

Il Tour de France ieri ha compiuto il suo dovere, decine di migliaia di persone si sono assiepate lungo le strade della corsa ciclistica più famosa del mondo come se nulla fosse accaduto: la ferrea volontà nel mantenere intatto il proprio stile di vita quale risposta al terrore appare sempre più come l’unica scelta possibile di una mega macchina che non si può fermare per tentare di capire.

A Nizza, nel centro del dramma del mondo occidentale, pare non esserci piena percezione di quanto sta accadendo da ormai molto tempo. C’è la volontà della fretta, che sicuramente passerà attraverso i riti collettivi del lutto: stendardi sulla Tour Eiffel, lutto nazionale, marce e ceri accesi. È già tutto pronto, come un grande evento qualsiasi che, paradossalmente, sarà esposto allo stesso rischio dell’altra sera. Ma dopo tutto questo, dopo i discorsi alla patria del presidente Hollande – sempre più detestato per mille ragioni – tutto rimarrà intatto, esposto a un pericolo qualsiasi e fuori controllo.

Noi italiani non abbiamo piena percezione di quanto sta accadendo al di là del confine. E mentre si fa la conta dei morti e dei feriti, i francesi riprendono a domandarsi se il nemico sia l’Islam: lo fanno mentre i media fanno vedere il palazzone di periferia dove viveva il terrorista. Il nemico in casa è a portata di mano, ma nessuno punta il dito, almeno non esplicitamente. Nessuno ha voglia di scatenare una guerra civile, perché anche la destra che soffia sul fuoco del razzismo si rende conto che la Francia è in pericolo, e puntare il dito verso i migranti è la via più semplice e diretta verso il baratro.

Una piccola famiglia del Nord, giunta sulla Costa azzurra per godere delle vacanze si raccoglie intorno a un tavolo e alla domanda sul perché di questa continua mattanza prende l’argomento di petto: il padre, un meccanico sorridente, lo dice con candore: «Noi li bombardiamo in Siria, loro ci bombardano qui. Siamo in guerra, no? Solo che non è stata mai dichiarata e quindi ogni volta ci stupisce. Noi gli ammazziamo i bambini, loro ci ammazzano i bambini». Stanno sorseggiando il caffè, lontani dai luoghi della mattanza. Interviene la moglie, inferocita, e gli risponde a muso duro che la Francia non uccide nessun bambino, né l’ha mai fatto. Gli animi si accendono ma presto tornano alla normalità, in attesa che il tempo passi.