E’ partita la campagna elettorale per il referendum, dentro e fuori la Colombia. Il 2 ottobre i cittadini diranno se appoggiano o respingono gli accordi realizzati all’Avana tra il governo e la guerriglia marxista delle Farc-Ep per portare a soluzione politica il conflitto armato, che dura da oltre cinquant’anni. Le consultazioni dei residenti all’estero, che hanno votato ai seggi dei vari consolati, si sono concluse il 15.

Secondo le ultime inchieste, il sì verrebbe approvato dal 72% della popolazione, mentre un altro sondaggio indica che il 66% dei cittadini disapprova le politiche del governo Santos. Le Farc hanno consegnato alla Croce rossa 8 minorenni che avevano raggiunto la guerriglia. E hanno iniziato l’ultimo loro congresso da combattenti prima del rientro nella vita politica, che si conclude venerdi. Al centro, la visione di genere degli accordi, illustrata e discussa in un grande incontro internazionale organizzato dalle donne. Del post-accordo in Colombia si è discusso anche al vertice dei Non allineati (Mnoal), in corso all’isola Margarita, in Colombia, dove i rappresentanti colombiani hanno ricordato l’impegno fondamentale del governo venezuelano e di quello cubano. Santos ha portato all’Onu gli accordi di pace conclusi.

Nel frattempo, l’altra guerriglia storica, l’Eln, che considera insoddisfacenti i risultati ottenuti, ha concluso con successo uno “sciopero armato” di 72 ore in sei dipartimenti nell’est del paese. E l’omicidio di una nota militante del movimento Marcha Patriotica, Cecilia Coicue, getta un’ombra sinistra sugli accordi. Giorni fa, il presidente Santos ha riconosciuto pubblicamente il massacro dell’Union Patriotica, compiuto da esercito e paramilitari negli anni ’80, quando le Farc provarono a rientrare nella vita politica, e ottennero un gran consenso parlamentare. Allora, tutta la coalizione venne eliminata.

Coicue era la proprietaria della fattoria La Cominera, nel Cauca, che avrebbe ospitato uno dei concentramenti transitori delle Farc per la consegna delle armi. Secondo le organizzazioni umanitarie, ogni cinque giorni viene ucciso un difensore per i diritti umani in Colombia. Nei primi sei mesi del 2016, si sono registrate 314 aggressioni, 35 delle quali mortali: un incremento del 3 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Del referendum e della situazione in Colombia abbiamo parlato con Victoria Sandino, comandante delle Farc-Ep e componente dell’equipe di mediatori all’Avana.

Come si sono create le condizioni per il dialogo, come ha vissuto questa fase?

L’establishment ha dovuto rivedere la sua strategia bellica, finanziata dal Plan Colombia durante gli 8 anni di governo di Alvaro Uribe Vélez. Si sono resi conto che attraverso la forza delle armi non avrebbero avuto ragione delle Farc-Ep, così, a partire dal 2011 sono cominciate riunioni esplorative tra le parti in maniera segreta, e sono andate avanti per un anno e mezzo. Il 18 ottobre del 2012 si è resa ufficiale l’apertura dei negoziati a Oslo, in Norvegia. Quel giorno si è presentato l’Accordo generale per la fine del conflitto armato, composto dai 6 punti su cui abbiamo negoziato durante questi 4 anni.

Dall’inizio dei dialoghi molte cose sono cambiate in America latina: il ritorno delle destre in Argentina, in Brasile, parzialmente in Venezuela, la firma dell’Accordo Transpacifico degli Stati uniti… Pensa che con questi accordi si possa ottenere davvero un cambiamento? E a quali condizioni?

Come rivoluzionari dobbiamo aver chiaro che i cambiamenti in economia, nella politica del mondo intero sono una costante da tenere in considerazione quando pensiamo alla nostra strategia per prendere il potere. Per questo motivo, la controffensiva della destra in America latina è un fattore con cui dobbiamo fare i conti adesso che iniziamo a far politica senza le armi. Nonostante le difficoltà che hanno avuto certi processi democratici e progressisti nella regione abbiamo piena fiducia che i popoli del continente sappiano imporsi nell’attuale scenario e vincere. Questi processi in America latina non si possono leggere senza sfumature. Molti paesi della regione hanno provato cosa significa vivere degnamente, hanno imparato che i governanti sono eletti dal loro popolo e questo nessuno può cambiarlo, e soprattutto i popoli ora sanno che possono governare. In Argentina per esempio, la gente sta costruendo un serio contrappeso a Macri che avrà le sue difficoltà a mantenere e perpetuare il progetto dell’oligarchia gaucha. Per questo, siamo coscienti che un partito politico, i leader e le leader, le idee non sono sufficienti per raggiungere un obiettivo rivoluzionario senza l’appoggio dei popoli, delle masse, che sono in ultima istanza quelli che definiscono il proprio futuro attraverso le lotte di piazza, attraverso l’esercizio della democrazia diretta e partecipativa e del potere popolare.

Prima degli accordi, alcuni di voi hanno fatto un giro nei campi guerriglieri. Qual è la situazione?

Alcune e alcuni di noi che abbiamo fatto parte della Delegazione dell’Avana siamo andati in Colombia a piccoli gruppi per fare quella che abbiamo chiamato “pedagogia di pace”, ossia la spiegazione di tutti gli accordi raggiunti a tutte e tutti i componenti delle Farc-Ep. C’è molta aspettativa e molta fiducia per le decisioni prese all’Avana, i guerriglieri sono convinti che la cosa migliore per il paese e per tutti noi è che questa guerra di tanti anni alla fine si concluda e che si eliminino le cause che l’hanno prodotta.

Quali sono i punti più importanti raggiunti dal dialogo riguardo ai cambiamenti strutturali necessari in Colombia?

Ogni punto concordato rappresenta un passo importanto verso un cambiamento fondamentale nella distribuzione, uso e accesso alla terra e per la partecipazione nelle decisioni politiche del paese. Per esempio, al punto 1, Riforma Rurale Integrale si è deciso di creare un fondo Nazionale delle Terre per ridistribuirle in modo equo e gratuito e per garantire che coloro che non hanno mai avuto niente possano accedere in maniera prioritaria al Fondo, ponendo in questo modo fine a una delle principali cause che hanno scatenato il conflitto armato in Colombia. Il punto 2 contempla tutto quel che ha a che vedere con le garanzie necessarie per la partecipazione politica, specialmente di quelli che storicamente ne sono stati esclusi e quelli che fanno opposizione al regime conservatore e oligarca. E così altri punti come quello sulle vittime. L’Agenda nel suo complesso implica cambiamenti strutturali per la Colombia.

Qual è, nel concreto degli accordi, l’importanza del punto di vista di genere?

L’ottica di genere sull’insieme degli accordi garantisce che le donne e le persone con identità sessuale diversa non solo non vengano discriminate nell’accesso ai diritti fondamentali, ma abbiano la garanzia di azioni effettive per diminuire la forbice dalla disuguaglianza. E’ un guadagno per tutte le donne, ex combattenti, vittime, contadine, quelle che hanno sofferto di più per gli orrori della guerra.

Santos conclude gli accordi, ma continua a reprimere e a privatizzare. Quale speranza c’è di vedere un’alternativa in Colombia e quale sarà il programma delle Farc?

Noi abbiamo molto chiaro chi è Santos e quali interessi rappresenta. Siamo la controparte in un tavolo di dialogo in cui ci unisce un proposito comune: farla finita con la guerra e mettere da parte l’uso delle armi perseguendo obiettivi politici. Se le cose andranno a buon fine, ci troveremo in un nuovo scenario di lotta politica a tutti i livelli, in cui faremo la nostra parte insieme al popolo colombiano. Mentre loro governano faremo una forte opposizione alle politiche economiche che colpiscono la maggioranza delle persone. Siamo coscienti che tutto questo troverà soluzione solo quando le espressioni organizzate del popolo colombiano diventeranno governo.

Il paramilitarismo è sempre forte. Quali garanzie avete avuto che non si ripeta un massacro simile a quello dell’Union Patriotica negli anni ’80?

Ci siamo accordati per creare un grande patto nazionale per garantire che i fatti commessi dai paramilitari non si ripetano. Inoltre si creerà una Commissione nazionale di garanzia della sicurezza e lotta contro le organizzazioni criminali, e si svilupperanno politiche pubbliche per le garanzie di sicurezza dei colombiani e le colombiane. In termini generali ci siamo accordati per due aspetti della lotta contro le organizzazioni paramilitari: uno politico, per garantire che il fenomeno non si ripeta e che implica, tra le altre cose, la realizzazione di uno statuto chiaro per l’esercizio dell’opposizione e garanzie per i movimenti sociali. E una componente giuridico-penale che comprende un’unità speciale della magistratura e azioni militari per rompere con le reti di appoggio ai paramilitari. In questo punto si include inoltre il programma di protezione per le Farc-Ep. Gli occhi del mondo devono rimanere puntati sulla Colombia, la più amplia solidarietà internazionale sarà determinante nella garanzia reale che gli accordi si compiano.

Il post-accordo è anche un grande affare che, secondo alcuni, potrà servire all’imperialismo per liberare truppe da inviare in altre zone dell’America latina. Qual è la sua opinione?

Ci siamo opposti non solo all’applicazione della Dottrina della Sicurezza Nazionale, del nemico interno, applicata alla campagna e alle città colombiane, ma anche all’uso di truppe colombiane in missioni all’estero, questo rispetto alle truppe nazionali. Rispetto alla realtà dell’emisfero siamo d’accordo con l’insieme dei popoli e nazioni del continente che l’America latina dev’essere un territorio libero, sovrano e di pace, libero dalla guerra. La possibilità che questo possa diventare realtà si può concretizzare nella misura in cui ci saranno passi avanti democratici nella regione e che la lotta organizzata faccia diventare realtà l’autentica sovranità dei popoli. Solo così si potranno frenare le avventure interventiste dell’imperialismo.

Se le Farc andassero al governo per la via legale, quale sarebbe il loro programma strutturale per il paese? Si può immaginare un cambiamento vero senza mettere fuori legge la borghesia? Quel che vediamo in Venezuela non lascia ben sperare

Per prima cosa è importante chiarire che non esiste possibilità di confronto tra la realtà politica e sociale venezuelana e quella colombiana. Anche se siamo popoli fratelli e condividiamo aspetti generali e realtà comuni con altri popoli dell’America latina, nello specifico si tratta di realtà molto diverse. Nel Tavolo di dialogo non abbiamo preteso di realizzare la rivoluzione per decreto, ma le garanzie minime che lo stato colombiano deve offrire perché si possa fare politica senza minacce e senza subire il terrorismo di stato. Crediamo di averle raggiunte con l’Accordo Finale. Le Farc-Ep continueranno a battersi per le grandi trasformazioni politiche, sociali de economiche che la maggioranza del paese richiede. I nostri principi e vocazione rivoluzionaria verso il socialismo rimangono intatti, la possibilità di costruirli senza l’uso delle armi, dipende dal compimento degli accordi di pace.

Pensa che vincerà il sì al referendum? E che accadrà dopo?

Il referendum è il meccanismo che è stato approvato perché siano ratificati gli accordi raggiunti nel Tavolo con il popolo colombiano. Noi siamo fermamenti convinti che la gran maggioranza voterà per il si, affinché questi accordi siano effettivi, perché costituiscono un passo avanti verso le trasformazioni di cui il paese ha bisogno. Dopo il referendum, verrà il processo di applicazione degli accordi e l’adeguamento strategico delle Farc-Ep del loro progetto politico: per convergere, cioè, in un’ampia coalizione democratica e popolare che arrivi ad essere governo e potere nel segno degli accordi conclusi.