La destra è riuscita a fare le primarie e la sinistra è nel pantano. Un portavoce del Ps, Olivier Faure, ha parlato ieri di “suicidio collettivo”. Sulla carta, il Ps ha convocato delle primarie a gennaio, ma l’organizzazione e il nome dei candidati sono ancora nelle nebbia più fitta. Alla testa dello stato c’è ormai una lotta sorda tra François Hollande e Manuel Valls, anche se ieri sembra sia stata dichiarata una tregua tra presidente e primo ministro. Valls per il momento non si è dimesso e sembra aver rinunciato alla candidatura, ma domenica aveva sfidato Hollande in un’intervista al Journal du Dimanche, affermando che ormai il presidente non ha la possibilità di pretendere a un secondo mandato (il colpo di grazia è stato il libro di confidenze a due giornalisti). Claude Bartolone, presidente dell’Assemblée nationale, aveva invitato Hollande e Valls a presentarsi entrambi alle primarie del Ps, per chiarire e uscire dall’impasse. Il Ps è paralizzato, nell’attesa di una dichiarazione di candidatura da parte di Hollande, che esita, di fronte a un record di impopolarità. La data-limite per le candidature alle primarie del Ps è il 15 dicembre.

Daniel Cohn-Bendit ha invitato tutti i candidati della sinistra a competere in queste primarie, per avere un candidato con una vera legittimità. Ma la missione sembra impossibile e il voto, che sarà molto probabilmente limitato al Ps sempre che abbia luogo, rischia di essere un “sussurro” (per partecipazione e per il dibattito) rispetto all’operazione conclusa dalla destra, ha messo in guardia Christian Paul, socialista della “fronda”. Intanto, a sinistra ci sono già sei candidati (che saliranno a sette con il rappresentante del Ps) e tutti sono decisi a correre al primo turno della presidenziali senza passare per le primarie. C’è Jean-Luc Mélenchon, che ha abbandonato il Front de gauche ed è ormai alla testa della France Insoumise, ha ottenuto l’appoggio del Pcf (che quindi rinuncia al proprio candidato), grazie a un voto senza entusiasmo degli iscritti (posizione approvata al 53%), ma dovrà fare i conti con una non meglio precisata “campagna autonoma” dei comunisti (che pensano soprattutto alle legislative di giugno). In corsa c’è Yannick Jadot, uscito vincitore dalla mini-primaria di Europa Ecologia-I Verdi. Sabato si è dichiarata candidata la radicale di sinistra Sylvia Pinel (anche se tre radicali sono nel governo Valls). Si è auto-dichiarato candidato Emmanuel Macron, che si è dimesso da ministro dell’Economia, su posizioni liberal in economia e aperte sulle questioni di società (si dichiara “né di destra né di sinistra”, ma “progressista”). Poi ci sono i trotzkisti Nathalie Artaud per Lutte ouvrière e Philippe Poutou per l’Npa.

Ma la vittoria di Fillon, uomo della vecchia Francia che “ha una visione degli anni ‘60” (la definizione è di Macron) e propone ricette economiche attuate da Thatcher 35 anni fa, sembra aver riaperto i giochi. Nel Ps, l’ex ministro Arnaud Montebourg, candidato alle primarie socialiste, afferma che “di fronte a un candidato molto liberista, duramente liberista, ultra-liberista, è impossibile che noi abbiamo di fronte un candidato social-liberista” (pensando a Hollande e a Valls). La sinistra del Ps ha già molti pretendenti all’eventuale primaria: oltre a Montebourg, Benoît Hamon, Marie-Noëlle Lieneman e Gérard Filoche, poi è anche in corsa l’ecologista François de Rugy. In questa confusione, tra i consiglieri di Hollande c’è chi alza la voce per chiedere l’annullamento delle primarie. Suggeriscono a Hollande di presentarsi direttamente al primo turno delle presidenziali ad aprile, senza passare per le forche caudine delle primarie, che potrebbero segnare una sconfitta cocente per l’attuale presidente. Daniel Cohn-Bendit afferma che Hollande ha ormai solo la scelta “tra diverse umiliazioni”. Eppure, al di là del destino di Hollande, con Fillon uno spazio si è oggettivamente aperto per la sinistra, di fronte alla minaccia di un purga sociale storica.