Attesa da due mesi, è stata depositata ieri – a ballottaggi conclusi – la sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale per le europee. La Corte ha giudicato inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Venezia, che sospettava l’incostituzionalità della soglia di sbarramento del 4% dal momento che per le elezioni del parlamento europeo non esiste un problema di «governabilità». Giudizio assai delicato – e già la Corte costituzionale tedesca aveva fatto cadere lo sbarramento per le liste candidate in Germania – perché con ricadute potenziali sulle elezioni dell’anno scorso (quelle del Pd al 40,8%). Giudizio che la Consulta ha risolto recuperando la sua tradizionale chiusura verso questo genere di questioni: la porta del giudice delle leggi è sbarrata, chi si sentisse penalizzato dallo soglia – dunque un candidato non eletto, non il cittadino elettore – si può rivolgere alla giustizia amministrativa. Nel caso delle elezioni europee, al Tar del Lazio.

La sentenza (emessa da una Corte in formazione rimaneggiata, oltre ai due giudici che il parlamento tarda a nominare mancava anche Amato) ha l’effetto di complicare i ricorsi contro leggi elettorali che si ritengono incostituzionali, come ad esempio quelli già avviati contro molte leggi elettorali regionali. Si torna quindi alla giurisprudenza costituzionale precedente al gennaio 2014, quando un po’ a sorpresa fu accolta la questione sollevata contro la legge elettorale nazionale e di conseguenza abbattuto il Porcellum. Ma proprio quel precedente la Consulta non ha potuto ignorare nella sentenza di ieri, e ha spiegato allora che una cosa sono le leggi elettorali per il parlamento nazionale, il cui controllo è rimesso direttamente alla camere (nelle giunte per le elezioni), un’altra cosa sono tutte le altre leggi elettorali (europee, regionali, comunali) per le quali il cittadino può impugnare i risultati. Nel secondo caso, dunque, l’eventuale incostituzionalità delle leggi potrà essere fatta valere solo dopo le elezioni, una volta avviati i ricorsi individuali. Ma nel primo caso non si può chiudere la strada del ricorso «pseudo-diretto» alla Consulta, aperta per il Porcellum. Altrimenti – visto che i cittadini non possono rivolgersi all’autorità giudiziaria – le leggi elettorali per il parlamento nazionale resterebbero, scrive la Corte, una «zona franca sottratta al sindacato costituzionale». E questo non può essere.
Ecco allora che una sentenza di non ammissibilità come quella di ieri può non essere una brutta notizia per chi cercherà di portare la nuova legge elettorale nazionale, l’Italicum, davanti alla Consulta.

Vuol provarci il Coordinamento per la democrazia costituzionale che ieri si è riunito a Roma, i punti di attacco sono sempre quelli del premio spropositato di maggioranza e dei capilista bloccati. E sono quasi pronti i ricorsi da presentare in tutti i distretti giudiziari in nome della violazione del diritto al voto libero e uguale, che è la strada seguita per abbattere il Porcellum. Bisogna però aspettare che il governo eserciti la delega prevista nell’Italicum per ridisegnare i collegi plurinominali, deve farlo entro il 21 agosto. «Con la sentenza della Consulta i ricorsi contro l’Italicum diventeranno più facili», sostiene l’avvocato Felice Besostri che è stato uno degli ideatori del ricorso contro il Porcellum. Ma aggiunge «l’interesse di un cittadino è quello di andare a votare con leggi costituzionali, non fare annullare le elezioni fatte con leggi incostituzionali». L’altra via per cercare di cancellare l’Italicum è quella dei due referendum – uno per eliminare i capilista bloccati e pluricandidati, un altro per far cadere il turno di ballottaggio – sui quali sono impegnati tanto il Coordinamento quanto Civati che ne aveva parlato immediatamente dopo l’approvazione della legge. Ma, come spiega Domenico Gallo del Coordinamento, raccogliere le firme necessarie entro il prossimo 30 settembre è pressoché impossibile, dunque la campagna va rimandata di un anno, immaginando che possa affiancarsi ad altri referendum (contro il cosiddetto decreto sblocca Italia, o magari la riforma della scuola).

Nel frattempo le elezioni amministrative dimostrano come proprio il ballottaggio – quello che diventerà «la norma» dell’Italicum secondo il suo ideatore D’Alimonte – rischi di trasformarsi nel punto debole della nuova legge elettorale. Nei comuni dove si vota per scegliere uno o l’altro sindaco – mentre nelle elezioni nazionali si sceglie tra due liste e blocchi di anonimi candidati – la partecipazione tra primo e secondo turno cala vistosamente. Con punte di meno 30% (a Trani) e affluenze tanto basse da far decidere le elezioni a meno di un elettore su tre (Giugliano). E dove il M5S va al secondo turno vince regolarmente. «Abbiamo enormi possibilità di governare il paese accedendo al ballottaggio», commenta il potenziale candidato premier grillino, De Maio. L’Italicum – che esclude le coalizioni – è tutt’altro che una sciagura per Grillo. I suoi lo hanno contrastato in parlamento, ma hanno già detto che non raccoglieranno le firme per il referendum abrogativo.