«È un successo dal sapore amaro. Varsavia avrebbe potuto fare i conti con se stessa ma non ha saputo farlo», ha commentato Mikolaj Pietrzak avvocato del saudita Al Nashiri dopo il verdetto della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che ha condannato Varsavia per violazione dei diritti umani. Il suo assistito era stato additato come il principale regista dell’attentato esplosivo contro il cacciatorpediniere USS Cole affondato nel Golfo di Aden. L’altro detenuto riabilitato dalla sentenza di Strasburgo è il palestinese Abu Zubaydah, che era stato arrestato due anni dopo in Pakistan. Per Pietrzak che aveva deciso di seguire pro bono Al Nashiri, tutt’oggi detenuto a Guantanamo, si tratta di un’occasione mancata per il proprio paese: la Polonia resta infatti l’unico paese del Vecchio Continente ad aver aperto un’inchiesta sui black sites gestiti dall’intelligenza americana. Un’iniziativa dettata da calcoli politici che era stata voluta nel 2008 dall’ex-presidente Lech Kaczynski per minare una volta e per tutte la credibilità dell’Alleanza della Sinistra Democratica (Sld),partito di centro-sinistra già travolto a suo tempo dallo scandalo tangenti «Pkn Orlen».

Diverso la situazione in Lituania e Romania dove la discussione non è mai uscita fuori dalle camere, a volte con esiti paradossali: nel caso di Vilnius un’inchiesta parlamentare aveva confermato l’esistenza di due «stalle» della Cia nei dintorni della capitale, la Procura non è tuttavia riuscita a provare che gli interrogatori si fossero svolti nei luoghi indicati. Sulla stessa falsariga, Bucarest dove l’indagine parlamentare condotta dalla senatrice rumena Norica Nicolai del Partito Nazionale Liberale (Pnl) era finita in un vicolo cieco.

Abu Zubaydah e Al Nashiri sono entrambi detenuti a Guantanamo. Difficile dire come possano usufruire del risarcimento che il governo polacco dovrà pagare per il suo coinvolgimento nel programma di consegne straordinarie della Cia. Non sorprende il fatto che soltanto la Corte di Strasburgo, libera dai vincoli dei segreti di stato, potesse diventare il luogo adatto a mettere fine all’impunità europea in materia di extraordinary renditions. Come nel caso di «El-Masri c. Macedonia», è di una sentenza importante ottenuta senza la collaborazione delle autorità Usa.

Il vaso di Pandora sull’esistenza di siti neri in Europa, creati e gestiti dai servizi segreti americani con la complicità delle autorità locali si era aperto nel 2005 in seguito a un’inchiesta del Washington Post e alle denuncie di Human Rights Watch. Le due relazioni presentate al Consiglio d’Europa dall’ex magistrato svizzero Dick Marty avevano successivamente confermato il coinvolgimento di agenti dei servizi nazionali europei nelle consegne e nei trasferimenti di persone sospettate di terrorismo.

Protetto da alberi e filo spinato il black site dell’intelligence americana in Polonia era situato nel villaggio di Stare Kiejkuty nelle regione Masuria. Una struttura messa a nuovo con i finanziamenti dell’amministrazione Bush. Probabile che i 15 milioni di dollari che due agenti americani avrebbero consegnato in una valigia diplomatica a un funzionario dell’Agencja Wywiadu (AW) siano serviti a mettere in piedi anche un centro di formazione per tecniche di interrogatorio utilizzato dai servizi segreti polacchi. Il portavoce del Ministero degli esteri Marcin Wojciechowski ha annunciato che la Polonia potrebbe presentare ricorso entro tre mesi alla Grande Camera della corte di Strasburgo. Secondo il governo il verdetto della corte sarebbe «prematuro» visto che Varsavia non ha ancora concluso le proprie indagini sulle prigioni fantasma. Difficile sperare di rovesciare la sentenza: la corte ha infatti condannato Varsavia all’unanimità soprattutto in virtù della sua mancata collaborazione alle indagini.

Le lungaggini dell’inchiesta avviata nel 2008 e avvolta nel segreto di stato non sono state ancora superate. La scadenza del termine per le indagini è stata oggetto di continui rinvii da parte della Procura polacca. Quattro anni dopo, il fascicolo coperto da segreto istruttorio era stato trasferito da Varsavia a Cracovia in barba ad ogni criterio di competenza territoriale. Secondo i media locali, la decisione di riassegnare l’indagine sarebbe stata presa poco prima che il procuratore Jerzy Mierzewski si apprestasse a iscrivere nel registro degli indagati l’allora numero uno dell’AW, Zbigniew Siemiatkowski.

Varsavia ha smesso di temporeggiare rifiutandosi di fornire alcuna documentazione a Strasburgo. Il governo di Tusk aveva offerto alla corte la possibilità di consultare il fascicolo in una cancelleria civile in territorio polacco a condizione che non fosse operata alcuna trascrizione degli atti. Per un portavoce della Procura generale l’ostacolo principale alla chiusura delle indagini è da individuare nelle difficoltà a ottenere informazioni oltreoceano. Un rappresentante del governo Tusk ha sottolineato prima della sentenza che la Polonia ha offerto alla Corte di Strasburgo anche la possibilità di consultare gli atti in campo neutro attraverso l’Ambasciata di Polonia presso il Consiglio d’Europa. «Sarebbe fuorviante suggerire che la Corte abbia rifiutato di prendere conoscenza dei documenti. Strasburgo ha offerto molte volte alla Polonia la possibilità di presentare gli atti tanto ai difensori del ricorrente quanto alla corte stessa», ha spiegato Amrit Singh dell’Open Society Justice Initiative.

Difficile che il Dipartimento di giustizia Usa sia disposto ad accettare qualsiasi richiesta di estradizione per gli agenti coinvolti nella gestione dei siti neri in Europa. Secondo Malgorzata Szuleka dell’ong Helsinki Foundation for Human Rights «se l’intelligence polacca facesse un passo indietro fornendo alla Procura i documenti comprovanti la collaborazione tra i servizi segreti dei due paesi, le accuse potrebbero essere formulate anche senza l’appoggio Usa».