Un «no tranquillo». La Cup mantiene le promesse e, nonostante le pressioni, continua a dire «no» ad Artur Mas come presidente. Neppure nel secondo dibattito di investitura del presidente del governo catalano tenutosi ieri, quando era necessario ottenere solo la maggioranza semplice dei voti per risultare eletti, Mas ce l’ha fatta. Antonio Baños, portavoce del movimento della sinistra movimentista, anticapitalista e femminista che vuole l’indipendenza catalana, ma non vuole che la guidi chi è stato il presidente per gli ultimi 5 anni, l’ha detto chiaramente: «È un no, ma un no tranquillo. Diciamo no oggi con la certezza che il sì importante, il sì alla repubblica, non finisce stamattina». Mas ha incassato i suoi 62 voti a favore, quelli del gruppo di Junts pel Sì, e 73 no di tutti gli altri gruppi presenti nella camera catalana.

Il presidente ad interim ieri aveva fatto l’ennesima proposta alla Cup, proponendo di depotenziare al massimo il ruolo del president con tre vicepresidenze e un voto di fiducia, non necessario nel sistema parlamentare catalano, fra 8 mesi. La Cup riconosce che è un passo in avanti, ma non ancora sufficiente. Non sa più come spiegare che voterebbe qualsiasi altro candidato, basta che Mas faccia un passo indietro. Ma è chiaro ormai che a Mas interessa molto più la propria persona che il procés verso l’indipendenza e non ha alcuna intenzione di gettare la spugna.

E anzi minaccia: l’alternativa sono le elezioni anticipate. «Ogni giorno che passa è un giorno contro il mandato democratico del 27 settembre», giorno delle elezioni catalane, ha detto. C’è tempo fino al 10 gennaio perché non scattino automaticamente nuove elezioni nel caso non si riuscisse a eleggere nessun candidato.

Il resto dell’opposizione catalana fa quello che può per rubare la scena ai due protagonisti. La capa dell’opposizione Inés Arrimada, leader del partito centralista di centrodestra Ciutadanos, ha attaccato Mas perché oltre a non fare cenno agli scandali di corruzione che colpiscono il suo partito Convergència democratica de Catalunya, «si è dimenticato di un piccolo particolare: il suo piano fantastico è stato sospeso», ha detto. Ha tacciato Mas e gli indipendentisti di «tremendamente irresponsabili e incoscienti».

Fra l’altro, ha ricordato che non rispettare la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo che ha sospeso mercoledì la dichiarazione di intenti verso l’indipendenza, potrebbe mettere i dipendenti pubblici nella condizione di non sapere se ubbidire al governo catalano o a quello spagnolo, che tra l’altro paga loro lo stipendio. È anche il caso dei mossos, la polizia catalana, a cui il procuratore generale aveva chiesto martedì di denunciare qualsiasi delitto di «sedizione», anche dei politici catalani.

Se è chiaro che, vada come vada l’elezione del presidente del governo catalano, gli indipendentisti vogliono arrivare allo scontro con Madrid – e questo con entrambi i governi a Madrid e Barcellona per ora ad interim e quindi non nel pieno delle funzioni – non è chiaro esattamente quali siano le opzioni che si stanno studiando a Madrid. Nelle ultime settimane si parla sempre più spesso di applicare l’articolo 155 della Costituzione, un articolo che per la controversia che genererebbe non è stato neppure regolamentato in una legge dal 1978 a oggi e che «sospenderebbe» l’autonomia catalana, come dicono i giornali. In realtà, il testo dell’articolo prevede vagamente la possibilità per il governo di «adottare le misure necessarie per obbligare [la comunità autonoma che non applica gli obblighi costituzionali o di legge] al compimento forzoso di detti obblighi o per proteggere l’interesse generale».

Se i più estremisti (di ambo i lati) vedono già i carri armati sfilare sulla Diagonal barcellonese, Rajoy ha ripetuto in tutti i modi che si prenderanno solo misure «proporzionali» alle decisioni di Barcellona. Manca ancora un mese di messa in scena prima delle elezioni.