È sbarcata ieri nel Palazzo di Christiansborg, sede del parlamento, la proposta di legge del premier liberale Lars Løkke Rasmussen per requisire ori, gioielli e soldi ai profughi in arrivo in Danimarca come contributo per le spese di soggiorno. Non è ancora chiaro se i denti d’oro saranno compresi nel «bottino», che però ufficialmente viene definito «prelievo fiscale» e si inserisce in una legge più complessiva, una riforma, che va a modificare la legge sull’immigrazione risalente al 1951.

Le opposizioni socialdemocratiche e rosso-verdi con le loro critiche al vetriolo – le confische somigliano tanto le razzie dei nazisti agli ebrei in fuga e internati nei campi, lo ha detto anche l’Unhcr – finora hanno portato il governo di destra solo a alzare il tetto dei beni non confiscabili perché di scarso valore, passato dalle 3 mila corone, pari a 402 euro, della versione iniziale presentata prima di Natale alle attuali 10 mila corone, circa 1.350 euro. Restano esentati dalla confisca i beni «di particolare significato personale» come fedi nuziali e orologi d’epoca, ma resta da vedere l’interpretazione della norma e la sua effettiva applicazione.

L’obiettivo del provvedimento sui sequestri, che dovrebbe essere votato il prossimo 26 gennaio dalla Folketing, la Camera danese, è esplicito: scoraggiare gli arrivi di profughi. è lo stesso relatore, la ministra per l’Integrazione – si chiama così il suo dicastero – Inger Støjberg a parlarne nei termini di «misure di austerità per ridurre al minimo l’afflusso di migranti», insieme all’estensione dei controlli ai valichi di frontiera con la Germania che da pochi giorni hanno sospeso il trattato di Schengen.

«Se un cittadino danese ha beni di valore superiori a 10mila corone deve venderli se vuole accedere al sussidio di disoccupazione», ha dichiarato la ministra per difendere la pretesa universalità della misura.

Il partito del premier (Venstre) non ha vinto le elezioni della scorsa estate ma è riuscito lo stesso a spodestare i socialdemocratici, rimasti primo partito dopo le dimissioni della leader Helle Thorning-Schmidt, travolta da uno scandalo, solo grazie all’appoggio esterno del partito nazionalista e xenofobo Dansk Folkeparti (Partito del Popolo). La nuova legge sull’immigrazione e la politica anti immigrati è il collante fondamentale dell’alleanza. Il fatto che ciò «alimenti la paura e la xenofobia», come denuncia l’agenzia Onu per i rifugiati, non è un deterrente per i proponenti.

Anzi, come fa notare la portavoce della Coalizione rosso-verde Johanne Schmidt-Nielsen, il governo non teme di far finire la Danimarca in cattiva luce «credo sia piuttosto soddisfatto, perché scoraggia i profughi dal chiedere asilo in Danimarca».

Non che siano tantissimi: l’anno scorso i richiedenti asilo in Danimarca sono stati 21 mila ma in base alla ripartizione in quote decisa dalla Commissione europea dovrebbero raggiungere i 160 mila. La nuova legge sull’immigrazione inserisce altri deterrenti: i tempi per i ricongiungimenti familiari slittano a tre anni, ottenere la residenza sarà più difficile e i minori non accompagnati (oltre 2 mila nel 2015) dovranno passare 6 mesi nei centri di prima accoglienza per poi passare alla tutela delle famiglie affidatarie.