Lo spettacolo del duello tra Clinton e Trump rappresenta il processo degenerativo del potere contemporaneo. Anche l’impero è nudo, per la pochezza della catena di comando. I postmoderni regimi monoclasse mostrano una carenza organica nei processi di selezione della leadership e si consolidano i tentativi di imprenditori che tentano l’assalto al pubblico potere senza trovare intralcio.

Una contaminazione pubblico-privato si presenta con regolarità, così come ricorrente è il doping comunicativo che banalizza la competizione per il potere, a conferma che, se considerato su scala comparata, il caso Berlusconi non era poi una pura bizzarria mediterranea.

Accanto alla ibridazione di politica e interessi che vede nel governo una postazione per proseguire l’accumulazione con altri mezzi, e alla riduzione della politica a chiacchiera, si affaccia il familismo amorale di candidati presidenti che sono mogli, figli di precedenti inquilini della Casa Bianca. Un tempo così incerto, che accentua i segni di anarchia nelle relazioni internazionali, con il comandante in capo Obama più volte rimpicciolito dalle mosse tattiche di Putin, vede sgretolarsi la capacità di governo basata sul Washington consensus.

L’altra sponda dell’oceano non pare più rassicurante nel controllare le dinamiche del potere di quanto non appaia la vecchia Europa che è alle prese con un ceto politico ovunque aggredito dalla protesta. Dall’Austria, che annuncia la costruzione di muri e commette errori procedurali pacchiani per la elezione del presidente, alla Francia, che mostra il precipitare dell’Eliseo nella mediocrità, dalle nuove democrazie dell’est in preda a spinte reazionarie al più antico costituzionalismo inglese che disarciona l’apprendista stregone Cameron, tutti i sistemi politici vagano alla ricerca di simulacri di statisti, e devono rassegnarsi alla resa dinanzi al vuoto.

I nuovi ceti politici europei, per non essere da meno a quelli della Casa Bianca, trascurano di «leggere le istorie», si affidano a guru e marketing, e così misconoscono le maniere efficaci per la gestione di organizzazioni complesse di potere. Dinanzi alle emergenze non sanno che decisioni prendere secondo la weberiana dimensione tragica della politica. La pochezza dei ceti politici reclutati in occidente fa risplendere le severe procedure formative e selettive delle classi dirigenti adottate in sistemi illiberali come quello cinese.

Anche la leadership che in terra europea è più forte, quella della Merkel, mostra un deficit di strategia. Gli imperativi assoluti del Berlino consensus impongono agli altri paesi un dominio di pura potenza, senza apertura all’egemonia che prevede strumenti più complessi di direzione. In un momento decadente di elitismo senza grandi élite, il progetto europeo naufraga.

E così la formazione delle classi dirigenti, in un’età del pubblico passivizzato, obbedisce a canoni di superficialità, gioco, fuga. Se il sistema non dispone di altri centri di potere e influenza, cui demandare le scelte più strategiche, o non si avvale della tradizione di governo garantita da una solida amministrazione, il re appare davvero nudo. Il politico cattura la massa di cittadini consumatori con i ritrovati scenografici di una rappresentazione deviante e la capacità di governo evapora.

Con la politica data in appalto alle potenze economiche, che esprimono un politico che recita e gioca, la dittatura del capitale è totale ma anche acefala e priva di ogni capacità di piano. Il capitalismo tende a soffocare la democrazia, a renderla un puro gioco insignificante. Paga a caro prezzo il suo dominio: con l’espulsione del grande nemico comunista, il capitale non dispone di strumenti correttivi. L’anarchia del capitale, che conquista il governo come un angolo di mercato, più il poliziotto, che reprime e sorveglia sui corpi, è lo scenario del tardo capitalismo, che si trova dinanzi a un bivio: rinascita del conflitto di classe o suicidio per la follia intrinseca del mercato.