«Di lui non restò che un manico di badile, un uomo moderno. Ma, prima di mutilarsi, ha senza dubbio toccato l’estremo». Ecco una breve ed efficace immagine che si ritrova nella Piccola ricapitolazione comica, passaggio che Georges Bataille dedica a Hegel nella seconda parte del suo L’esperienza interiore. Più avanti nello stesso volume, pagine generose sono dedicate al filosofo tedesco, così veniamo a conoscenza di «un dente dolente nella bocca di Hegel», poi in Sovranità e ancora in articoli sparsi, da Tel Quel e altre riviste tra le tante che Bataille frequentava. Non sfuggirà allora la consonanza con il titolo scelto per una nuova raccolta di scritti editi di Bataille tra il 1929 e il 1956, che raccontano il corpo a corpo con il pensiero di Hegel. La curatela e la scelta dei testi di Piccole ricapitolazioni comiche (Aragno, pp. 218, euro 15) è di Massimo Palma, ricercatore di filosofia politica e morale che ha già all’attivo pubblicazioni su Walter Benjamin, Eric Weil e il progetto della nuova edizione italiana di Economia e società di Max Weber. Una mosca sul naso di chi si è creduto «il primo venuto», ecco l’istantanea che sceglie Palma per raffigurare la relazione tra Bataille e Hegel. Una mosca singolare che pungola, al pari del tafano platonico, e che declinata al plurale non molla la presa quando pretende giustizia e furore di sé, anche Jean-Paul Sartre ne era convinto quando le scelse per raffigurare le Erinni del dramma Le mosche.

Un inquieto contrappunto

La presenza di Hegel si evince in alcune opere, articoli, recensioni e aneddoti di Bataille che testimoniano un’implicazione di fondo nel rapporto intrattenuto con il filosofo fin dal 1925, anno in cui verosimilmente comincia la lettura delle prime traduzioni francesi. È quindi interessante aver pensato un intero volume che si soffermi su alcuni temi hegeliani che dagli scritti giovanili di Bataille in avanti ne hanno stretto, modificato e dilaniato il segno. Dapprima simile a una forma di allusione polemica e dissacrante che carsicamente si è mossa in interventi comparsi nella rivista Documents e in articoli come Figura umana – che inaugura l’antologia delle Piccole ricapitolazioni comiche; poi la riflessione del 1932 insieme a Queneau dal titolo Critica dei fondamenti della dialettica hegeliana; e solo un anno dopo e fino al 1939, la decisiva frequenza di alcuni seminari parigini tenuti da Alexandre Kojève sulla Fenomenologia dello Spirito all’École Pratique des Hautes Études. Sarà appena il caso di ricordare che a seguire Kojève, insieme a Bataille e Queneau vi saranno Lacan, Aron, Merleau-Ponty, Klossowski e altri. Da quel momento il pensiero hegeliano diviene contrappunto inquieto e più che esplicito in Bataille.

I nuclei centrali su cui ruota il suo coinvolgimento sono da rintracciare all’altezza della filosofia della natura, per poi spostarsi alle figure del signore e del servo, quindi alla complessità che porta al riconoscimento. Intorno alla ricezione di Nietzsche, di cui molto si è scritto, e alla lettura di Freud, Bataille intrattiene una significativa interlocuzione anche con i testi del filosofo tedesco: il non-sapere che scompagina il sapere assoluto, l’esperienza interiore e sovrana che mette in crisi il sistema, il conflitto che racconta un esito dialettico difficile da soddisfare, la libertà della dissipazione contro il servilismo ipocrita del sistema dell’utilità – che baratta la radicalità con una più mediata neutralizzazione.

Eppure, in tenace e appassionata discordia, il guadagno di Bataille nella lettura di Hegel resta innegabile. Comprende per esempio che nella lotta per la sopravvivenza che si ribalta nel suo contrario esiste una ridda semantica e politica da interrogare e sezionare, non solo grazie a Marx ma anche in relazione all’orizzonte politico-culturale degli anni Trenta a Parigi, quelli che si aprono dopo la collaborazione con «Critique sociale», e proseguono nel «Cercle Communiste Démocratique» fino a «Contre-Attaque» e più tardi «Acèphale». È proprio negli anni Trenta che fa una delle conoscenze più importanti, di quelle che stravolgono sensi e pensieri: Colette Peignot, meglio conosciuta come Laure, che scelse una vita libera e in piena rivolta, raffinata scrittrice considerata più che una semplice musa; esistenze speculari ma dissonanti che hanno abbracciato avanguardia artistica e sentimento rivoluzionario.

L’esperienza dell’assurdo

Come fosse uno Stavrogin o un Ivan Karamazov dopo un incontro con Breton, secondo una bizzarra ipotesi proposta da Sartre, Bataille fa una particolare esperienza dell’assurdo, quella del conflitto insolubile. Affine per certi versi a Albert Camus, il soggetto è un’insostituibile contraddizione, una lacerazione che tuttavia non lo ascrive così facilmente neppure al posizionamento esistenzialista.

L’avvicinamento al surrealismo, il tumulto verso l’erotismo e la morte, il riso e le lacrime, la rilettura di sacrificio e desiderio, costituiscono invece ulteriori distopie.

L’avventura della scrittura di Bataille, letto a tratti ingenerosamente proprio da Sartre come da altri suoi contemporanei che vi scorgono inconsistenza e fastidio per via di una lingua spesso franta, crudele e amante dell’abiezione, è forse davvero «un piccolo olocausto di termini filosofici».

Ed è proprio a partire dalla faglia sdegnosa, di sé e dello strumentario teorico posseduto, che ha potuto restituire tra le pagine più belle e impertinenti dedicate alla poesia e alla letteratura, scritte con tormento ma anche «come si ride», lasciando a chi legge una preziosa eredità: «senza l’intensità della passione, la vita è senza dubbio una lusinga il cui limite è il conforto, la cui verità è la paura all’idea di andar troppo lontano». Anche quando il limite si chiama Hegel, un fardello spesso difficile da sopportare e oltrepassare.