Se oggi cercate un modo per guadagnarvi qualche antipatia nel mondo della scienza, vi basterà seminare qualche dubbio o sollevare qualche obiezione su Crispr, le tecnica di editing genetico ideata dalla francese Emannuelle Charpentier e dalla statunitense Jennifer Doudna, che promette di rivoluzionare il mondo della biomedicina grazie alla sua economicità, versatilità ed efficienza, come sostengono le sue stesse inventrici.

Sheila Jasanoff, direttrice del programma di scienza, tecnologia e società alla Harvard Kennedy School, ha deciso di «rovinare» la scoppiettante e interessante cerimonia di apertura dell’incontro europeo biannuale dedicato alla scienza e all’innovazione Esof 2016, tenutosi a Manchester il mese scorso, proprio rispondendo a Charpentier con un discorso non già critico sulla tecnica in sé, ma sull’approccio che gli scienziati hanno verso la scienza e la tecnologia.

Nata a Calcutta, trasferitasi negli Usa a 12 anni, Jasanoff ha studiato matematica a Bonn e ha ottenuto un dottorato in linguistica a Harvard dove poi decise di dedicarsi al diritto. Con questo background eterogeneo, Jasanoff fonda nel 1990 un nuovo campo di ricerca che prende il nome in inglese di Science and Technology Studies (Sts), alla frontiera fra sociologia, epistemologia, tecnoscienza e diritto. Uno dei corsi che insegna, ad esempio, si chiama «scienza, potere e politica». La sua idea è che «comprendere la relazione che esiste fra politica e scienza ci rende migliori cittadini».

Ebbene, la tesi cui ha dato voce Jasanoff ad Esof, e che spiega nel suo volume appena uscito The Ethics of Invention: Technology and the Human Future, è che la tecnologia non è mai neutrale, e le scelte che fanno gli scienziati e poi la società sono sempre cariche di ideologia, di credenze e pratiche sociali, consapevoli o implicite. «Le invenzioni cambiano il mondo, e il mondo reinventato cambia noi», per dirla con le sue parole.

Avvolta in uno dei suoi eleganti sari, accetta affabile di discutere in modo destrutturato con il manifesto, mentre la accompagniamo in albergo.

Il tema dell’editing genetico è un buon punto di partenza. Gli ha dedicato un saggio recente, intitolato Democrazia Crispr, la necessità di deliberazioni inclusive ed è fra chi chiede esplicitamente una moratoria in cui si rifletta su come procedere…

Molti scienziati pensano ancora che per le questioni più spinose l’importante è spiegare la scienza in maniera che la gente la possa capire. Se qualcosa suscita opposizione, è facile dire che è perché non se ne capisce la base scientifica. Ad esempio, qui a Esof molti cercano di spiegare in maniera semplicistica che ha vinto il Brexit perché la gente non crede agli esperti. Ci sono ormai numerosi studi che dimostrano che le ragioni alla base della mancanza di fiducia del pubblico sono molto comprensibili, e non c’entrano nulla con la fiducia sul fatto che lo scienziato sia capace di dimostrare alcuni fatti. Il problema è che molti non credono che gli scienziati dimostrino i fatti giusti, e cioè quelli che li preoccupano. Il primo framing che danno gli scienziati è sempre in termini scientifici; l’idea che ci sia un passo precedente alla spiegazione scientifica, e cioè capire qual è il problema, il contesto in cui si muovono le persone, non lo considerano degno di una riflessione.

Tipico esempio è quando gli scienziati bollano come «antiscientifico» qualsiasi dubbio sollevato sulle loro ricerche…

Ai miei studenti ricordo che hanno imparato in altri corsi a leggere le argomentazioni in modo critico, e a trovare le debolezze per smontare una tesi. Ma nel mio corso mi aspetto che imparino ad applicare quella che chiamo «carità epistemica», il cercare di capire cosa davvero vuole dire l’altra persona. Valutarlo criticamente, ma dal suo punto di vista, non dal nostro. È lo stesso consiglio che darei alla comunità scientifica. Quando qualcuno non è d’accordo con voi, invece di pensare che non vi capiscono, chiedetevi cosa li sta guidando, date loro il beneficio del dubbio, assumete che siano razionali. Altrimenti vi limitate a portarli fuori dal dominio della razionalità condivisa e chiudete la porta alla discussione.

Anche a Esof, come fa in molte interviste, la risposta di Charpentier alle domande sull’etica che deve guidare le scelte sul futuro della sua rivoluzionaria tecnica è stata che devono essere «gli organismi regolatori internazionali» a decidere…

Questo punto di vista riflette una visione molto semplicistica del concetto di organismo regolatore, non esiste un’autorità regolatrice della scienza unica per tutto il pianeta. Stati Uniti, Inghilterra e Germania sono tre paesi che hanno altrettanti modi di gestire la ricerca sugli embrioni: il contesto socio-politico e gli organismi incaricati di prendere le decisioni in ciascun paese (le corti, una commissione o un parlamento) fanno sì che i regolamenti siano profondamente differenti.
Il presidente Obama ritiene che c’è un consenso tacito sul no alla clonazione riproduttiva. Anche se non tutti sono d’accordo, supponiamo che sia così, magari ne esiste una analoga sul no all’alterazione dei geni delle cellule germinali (una delle frontiere di applicazione di Crispr per la cura di malattie genetiche, n.d.a.). Alcuni scienziati pensano che poiché la tecnica è così efficiente, se la norma esiste è fuori moda bisogna cambiarla. Forse è così, ma di certo non tollereremmo questa manipolazione per qualsiasi scopo immaginabile. Per questo critico tanto la metafora dell’editing applicata ai geni: non si può correggere un testo finché non sai qual è quello giusto.

Così come critica nelle immagini che illustrano la tecnica «la metafora delle forbici…

Sono semplificazioni pericolose perché alimentano una certa autocompiacenza su quello che sappiamo davvero.

Jasanoff dice di non avere dubbi sul fatto che Crispr funzioni bene come tutti credono. «Ma rilasciare nella biosfera un numero incontrollato di organismi modificati attraverso Crispr penso sia una questione preoccupante. Così come la manipolazione delle linee germinali: prima di tutto come giurista, credo che se c’è un consenso tacito simile a una convenzione dei diritti umani su questa questione, non credo dovremmo buttarlo a mare solo perché gli scienziati dicono che c’è molta fretta. Ci sono ragioni per cui esiste questa norma che hanno a che vedere su come intendiamo il concetto di autonomia degli individui».

Ma gli studi sulla scienza e la tecnologia non si occupano solo di Crispr, e si stanno poco a poco guadagnando visibilità. Oggi sono un campo di ricerca riconosciuto, dice Jasanoff. Da non confondere con la bioetica, sottolinea, una disciplina «molto meno impegnativa», oggi accettata facilmente dagli scienziati. Ma «non esistono Sts importanti nei posti dove non c’è una scienza consolidata, e dunque una tradizione di riflessione su cosa sia la scienza», sostiene. E comunque ci sono molti paesi, persino gli Stati Uniti, «dove l’idea che la scienza e la tecnologia possano essere messe sotto una lente e studiate loro stesse è ancora aliena a molte persone». Riconosce che il campo ha ancora bisogno di «consolidamento intellettuale» e di poter distinguere fra buoni e cattivi ricercatori, «come in qualsiasi campo».

L’ultima nota Jasanoff la dedica alla politica scientifica durante l’amministrazione Obama. «Dal punto di vista degli scienziati è stata molto migliore della precedente perché non sono stati tagliati i finanziamenti, ma soprattutto perché noi che lavoriamo in università abbiamo tutti percepito un ambiente più aperto e amichevole verso la ricerca, senza vincoli da parte del governo.» E ovviamente, conclude, durante la prossima amministrazione «la gente si aspetta che non si torni indietro». Anche se ammette che la paura rispetto a quello che potrà succedere a novembre si sta impossessando di molti studiosi.