17clt2pezzosottoPropaganda_fascista_sul_colonialismo

A pochi mesi dall’uscita di Quel che resta dell’impero (Mimesis), prezioso volume curato con Alessandro Pes, Valeria Deplano, Research Fellow presso l’Università di Cagliari, ritorna in libreria con l’ottima monografia L’Africa in casa, pubblicata per i tipi di Mondadori-Le Monnier.

Il tema affrontato da Deplano è la propaganda coloniale nell’Italia fascista. Collocato all’interno di un dibattito storiografico nazionale ed internazionale, il lavoro intende «dimostrare – precisa l’autrice – che l’ideologia coloniale non fu solo un elemento funzionale alla politica espansionistica, né un elemento accessorio della politica fascista, ma un elemento strutturale che nei progetti rigeneratori del regime doveva avere il maggiore impatto possibile sulla vita della nazione».

Il volume ricostruisce, con una narrazione che si snoda lungo quattro capitoli, le iniziative che il fascismo, attraverso vari istituti colonialisti, mise in campo per propagandare, prima, la conquista dell’oltremare e per far introiettare, poi, l’idea d’Impero nelle coscienze italiane. Come chiarisce Deplano «dare l’impero agli italiani non significava semplicemente fare in modo che alcuni di loro emigrassero; significava fare in modo che tutti loro cambiassero il modo di vedere se stessi come nazione, e di guardare al mondo».

L’itinerario cronologico tracciato nelle duecentodue pagine, dopo aver stabilito un iniziale raccordo con età liberale, giunge fino al 1945. Il rilancio della propaganda coloniale, successivamente alla riconquista della Libia, avviene con Roberto Cantalupo, sottosegretario alle Colonie dal 1924 al 1926, impegnato in un’opera di «volgarizzazione» dei temi coloniali. Ciò è possibile attraverso numerosi strumenti tra cui le tante riviste e l’istituzione della giornata coloniale.

Dal 1926 al 1932 la propaganda inizia ad agire in modo incisivo nelle scuole e nelle università. Il regime interviene sui libri di testo e introduce il tema coloniale nella didattica. Negli atenei si iniziano a formare le prime classi dirigenti per la gestione dell’oltremare con appositi corsi di studio a Pavia, Padova, Perugia e Firenze, ma anche nella Napoli dell’Istituto Universitario Orientale, a Roma, Milano, Palermo, Catania e Trieste. La fabbrica del consenso ha bisogno di un ente che sia espressione diretta del regime: così, nel 1928, nasce l’Istituto Coloniale Fascista (Icf).

La direzione viene affidata al conte Pier Gaetano Venino. L’Icf, unico soggetto autorizzato a parlare di colonie, avvia un’intensa campagna di tesseramento e la creazione di sezioni nelle diverse zone della penisola e a Tripoli; coinvolge e coopta nel suo organico la dirigenza dei Guf; organizza la giornata coloniale e diverse crociere in Libia; realizza uno stand dei prodotti della Tripolitania e Cirenaica presso la Fiera Campionaria di Milano (1928). Queste e altre iniziative sono mirate a «rendere le colonie parte della vita dell’Italia», a trasformare l’esotico in realtà concreta, ossia, come precisa Deplano, a includere il coloniale «nell’orizzonte lavorativo e di vita» degli italiani.

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Nel 1931 nasce la Federazione Internazionale della stampa coloniale; nello stesso anno si svolge, a Firenze, il primo congresso di studi coloniali, organizzato dall’Icf. Dal 1932 al 1936 gli sforzi propagandistici sono profusi in diverse direzioni: è istituita la Camera di Commercio italo-coloniale; vengono organizzati eventi come la Mostra internazionale d’arte contemporanea coloniale e costituiti archivi fotografici delle terre conquistate; sono proiettare pellicole come Cufra e Abissinia; viene usata la radio come strumento di informazione sull’oltremare.

Allo scoppio della guerra d’Etiopia la macchina della propaganda è già ben oliata. I vari ingranaggi generano un ritmo che perdura anche nella quarta cesura presa in esame da Deplano, dal 1937 al 1945. In questo periodo è di rilievo l’opera di Angelo Piccioli, funzionario coloniale messo alla guida dell’Istituto fascista dell’Africa italiana (Ifai) – ente che rimpiazza l’Icf. Numerosi sono i canali su cui insiste la propaganda coloniale: le riviste, le crociere, i corsi di cultura e quelli femminili, la scuola e l’università. Dopo la perdita delle colonie e sotto i colpi dell’avanzata angloamericana, uno a uno i meccanismi della poderosa macchina voluta da Mussolini si inceppano. I pochi rimasti funzionanti, dopo il 1943, puntano sulla retorica reducistica per mettere in contatto i rimpatriati dalle ex-colonie.

In conclusione, l’importante valore di questo libro sta nel trattare, con rigore scientifico e agile linguaggio, i progetti coloniali del fascismo analizzando la storia degli istituti colonialisti. Deplano, così, apre un nuovo sentiero storiografico, mai battuto prima d’ora in modo organico, che sicuramente altri studiosi percorreranno negli anni a venire.